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Il quadro geopolitico continua a essere movimentato: oltre al conflitto ucraino e a quello israelo-palestinese, ha tenuto banco l’incontro tra il presidente cinese Xi e il suo omologo Biden. Gli effetti della stretta monetaria continuano a catalizzare l’attenzione, sia in Europa che negli USA. Guardando alla politica, le destre conquistano le urne in Argentina e Paesi Bassi.
All’inizio di novembre, come ampiamente previsto dagli analisti, la Federal Reserve ha lasciato i tassi invariati. A differenza della BCE, che pochi giorni prima aveva fatto lo stesso, non è stata una “prima volta” all’interno di questo ciclo di rialzi. La FED aveva fatto lo stesso anche nella riunione precedente. Come sempre, però, le Banche Centrali devono muoversi tra decisioni e aspettative. Se quindi le azioni sono da “colombe”, le dichiarazioni restano da “falchi”.
Nei verbali della riunione, che come sempre vengono divulgati alcune settimane dopo, tutti i membri del Federal Open Market Committee (FOMC) si sono detti concordi nel proseguire sulla linea della “cautela”, con la possibilità di ulteriori rialzi se i progressi sul fronte dell’inflazione dovessero rivelarsi insufficienti.
La ricerca dell’equilibrio tra colombe e falchi vale anche per la BCE. Alla fine di ottobre, la Banca Centrale Europea si è presa una pausa, lasciando i tassi invariati. Negli ultimi mesi, inoltre, stanno emergendo con forza gli effetti collaterali di una politica monetaria restrittiva: oltre alla crescita in frenata, l’ISTAT ha evidenziato la crisi del settore immobiliare, tra i più esposti alla variazione dei tassi. I dati pubblicati a novembre certificano che, nel primo trimestre 2023, le compravendite immobiliari sono diminuite dell’11% su base annua. E i mutui, diventati più cari, sono crollati del 31%.
Lo scenario spinge quindi verso un allentamento. Ma la presidente dalla BCE Christine Lagarde è intervenuta in modo chiaro per smorzare le aspettative di un’inversione di tendenza. “Non è il momento di dichiarare vittoria”, ha spiegato. I rischi d’inflazione persistono e i tassi “saranno fissati a livelli sufficientemente restrittivi per tutto il tempo necessario”.
Il governo tedesco toglie i freni al proprio debito. La decisione arriva a causa di quella che l’esecutivo ha definito “un’emergenza straordinaria”, legata al prezzo dell’energia che grava sulle famiglie. Una sentenza della Corte costituzionale aveva dichiarato inammissibile il trasferimento di 60 miliardi di euro, stanziati per il COVID-19 e non spesi, a un fondo per il Clima. Il veto ha di fatto tolto risorse al budget, portando il governo a prevedere una spesa supplementare per contenere il caro-energia. Risultato: nel 2023 la Germania sforerà la soglia di deficit dello 0,35% del PIL, prevista da una norma costituzionale.
Continua a essere un periodo complesso per la geopolitica internazionale. Mentre prosegue il conflitto in Ucraina, quello israelo-palestinese si fasempre più aspro. Le forze israeliane hanno intensificato i bombardamenti e le operazioni via terra, intervallati da brevi tregue.
Novembre è stato segnato anche dall’incontro tra il presidente statunitense Biden e quello cinese Xi. Il summit, tenutosi a San Francisco, è stato accompagnato da dichiarazioni distensive. Si è parlato di “competizione che non sfoci in conflitto” e di un mondo “abbastanza grande per la convivenza e per il successo di Cina e Stati Uniti”.
L’equilibrio è stato però minato da una gaffe di Biden, che in una dichiarazione pubblica ha definito Xi “un dittatore” a capo di “un Paese comunista”. Pechino ha reagito definendo le parole del presidente USA “estremamente sbagliate”.
Nel corso del mese si sono tenute due importanti elezioni politiche, entrambe andate verso destra. La prima è stata quella dell’ultraliberista Javier Milei, nuovo presidente dell’Argentina con oltre il 55% dei voti e un distacco consistente sull’avversario, il peronista Sergio Massa.
Pochi giorni dopo è toccato all’estrema destra di Geert Wilders, vincitore delle elezioni olandesi. Il suo Partito per la Libertà fa da sempre leva sull’anti-islamismo e sull’antieuropeismo. Ma un portavoce della Commissione Europea ha preferito smorzare i timori di una “Nexit”, sottolineando che l’uscita dei Paesi Bassi dall’UE non era nel programma elettorale di Wilders.
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