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L'idea di una guerra di questa portata appariva talmente remota che, nonostante gli avvertimenti dall'intelligence americana, sia i cittadini che i mercati finanziari sono stati colti totalmente impreparati.
Ora è necessario valutare scenari considerati altamente improbabili, chiamati nel gergo finanziario rischi di coda. Il dramma umano in Ucraina, come in ogni conflitto, è oggi sicuramente il tema più tragico e rilevante, tuttavia le implicazioni negative sulle prospettive di crescita e di inflazione a livello globale, ed in particolare in Europa, sono anch’esse significative.
L’inflazione era il tema dominante per le Banche Centrali e per i mercati finanziari fino alla vigilia dell'invasione russa in Ucraina. A partire da gennaio aveva indotto gran parte degli istituti centrali del mondo sviluppato, inclusa la Banca Centrale Europea, a comunicare la volontà di intraprendere una svolta di politica monetaria più restrittiva rispetto a quanto si potesse immaginare.
Ora è più probabile che le decisioni delle Banche Centrali di prevedere azioni restrittive vengano ricalibrate e, almeno in Europa, rimandate. E se la situazione non dovesse migliorare è possibile che vengano applicate misure straordinarie di politica economica.
Negli Stati Uniti le dinamiche inflazionistiche sono meno transitorie rispetto a quanto la Fed si aspettasse ma gli effetti secondari possono prendere piede rendendole più strutturali.
Tuttavia lo scenario geopolitico, l'assenza di pressioni salariali e i dati degli ultimi due mesi del mercato del lavoro hanno indotto Powell a confermare un primo rialzo in misura convenzionale di 25 punti base in un occasione della riunione del 16 marzo.
Più complicata è sicuramente la situazione in Europa con gli effetti inflattivi dei costi energetici, ora amplificati dalle implicazioni della guerra in corso. I prezzi delle materie prime, gas e petrolio in testa, e di alcuni generi alimentari subiscono ulteriori rincari in questo contesto. Sembra inevitabile anche l'impatto negativo sulla crescita a causa sia dei costi degli input sia del sentiment dei consumatori. Si parla di un impatto negativo fino a un punto percentuale sul PIL europeo del 2022-2023 e oltre del 2% sull'inflazione.
A seconda degli sviluppi non si può escludere una stagflazione, che oggi non è lo scenario di base. Sarà nuovamente la politica fiscale, come accadde in occasione della crisi pandemica, a dover intervenire qualora le conseguenze della tragedia a cui stiamo assistendo dovesse portare l'Europa verso la nuova recessione.
A fronte del rincaro esponenziale dei costi delle materie e dell’energia e, più in generale, ai timori legati all'incertezza sul futuro, pochi Paesi europei sarebbero in grado senza adeguato supporto di evitare una crisi economica. È auspicabile una risposta Europea sulla falsariga di quanto avvenuto in occasione della crisi pandemica. La Banca Centrale Europea potrebbe offrire la sponda sul fronte monetario ad una nuova spinta fiscale anche in presenza di un'inflazione temporaneamente elevata e con ogni probabilità di una ulteriore crescita nel breve termine.
È ancora troppo presto per esprimere una valutazione comprensiva e convincente sulle implicazioni geopolitiche di quanto sta avvenendo in questi giorni e sui possibili equilibri futuri fra blocchi già contrapposti prima di questi tragici eventi. La mancata adesione da parte di Cina e India alle sanzioni imposte dal mondo occidentale alla Russia alimenta sospetti e timori.
Il ritorno ad uno scenario di guerra fredda è un rischio sempre più concreto. I mercati sono stati travolti da un colpo violento, concentrato soprattutto sugli asset e sulle aree geografiche più direttamente interessate dal conflitto:
Alla luce di quanto descritto abbiamo operato nelle settimane recenti con l'obiettivo di rafforzare la resilienza dei portafogli.
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