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Il fallimento della Silicon Valley Bank (SVB), istituto di credito californiano specializzato nei depositi di startup hi-tech, e il conseguente immediato intervento del Tesoro americano per bloccare un eventuale contagio al sistema bancario, è al centro delle preoccupazioni dei mercati. Dopo che la Federal Reserve ha alzato i tassi di interesse, la SVB non ha retto il colpo, costringendo la Casa Bianca a intervenire. Ma le ragioni dietro il collasso della diciottesima banca americana per dimensioni sono molteplici.
La Silicon Valley Bank è un istituto californiano fondato a Santa Clara nel 1983, diventato negli anni la banca di fiducia delle aziende tech e dei venture capital americani. Complice il boom del settore in California, la SVB è cresciuta rapidamente fino a gestire nel 2021 quasi la metà di tutti i fondi impiegati per finanziare le startup.
La prima debolezza dell’istituto, dunque, è proprio questa: concentrare il proprio business in un unico settore e distretto geografico.
Il secondo punto debole dell’istituto è la sua stessa natura. Le banche tradizionali, per funzionare, impiegano i soldi dei correntisti, di solito concedendo prestiti ai clienti. Il modello di finanziamento delle startup, invece, poggia sul venture capital, non sui prestiti bancari. Per cui la SVB, essendo di fatto la banca di riferimento delle startup, faceva pochi prestiti e investiva invece la sua liquidità; gli investimenti scelti sono stati principalmente titoli di Stato a lunga scadenza. A fine 2022, la banca californiana aveva all’attivo investimenti per quasi 100 miliardi di bond americani.
Il problema quindi è doppio. La raccolta della SVB proveniva in larga parte dalle startup e molti depositi eccedevano il limite dei 250 mila dollari, oltre il quale non sono coperti dal fondo di assicurazione americano Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC). Dal lato dell’attivo, poi, la banca era molto esposta in titoli a medio-lungo termine e quindi molto vulnerabile di fronte a un aumento dei tassi di interesse.
Per la SVB è andato tutto bene finché la Federal Reserve ha tenuto i tassi bassissimi. Quando la Banca Centrale americana ha dato il via ai rialzi dei tassi di interesse, le cose si sono complicate.
Il modello di business della Silicon Valley Bank sembrava basato sull’ipotesi che i tassi rimanessero a livelli molto bassi all’infinito. Un aumento di 4,5 punti dei tassi ha ridotto invece i prezzi dei titoli in portafoglio, mettendo in allarme le aziende, consapevoli di non essere coperte dall’assicurazione della FDIC.
Non solo. L’ecosistema delle startup, che poggia principalmente il suo business sui guadagni futuri, è prosperato in un ambiente di tassi zero. Ma con l’inizio della stretta monetaria da parte della FED, le startup hanno subito uno scossone. Il costo del denaro è aumentato e gli investimenti dei venture capital sono calati. Per continuare a crescere, le startup hanno quindi iniziato a bruciare la cassa e a ritirare i propri depositi dall’istituto. Così la Silicon Valley Bank si è ritrovata a far fronte a prelievi sempre più frequenti.
Oltre alla perdita di liquidità, il rialzo dei tassi ha inciso anche sulla struttura della banca. Di solito, quando i tassi salgono, le banche devono corrispondere un interesse più alto sui depositi ma hanno anche rendimenti più alti dai prestiti che concedono. Silicon Valley Bank, però, aveva in pancia pochi prestiti e molti titoli di Stato a lunga scadenza. Il costo dei depositi era aumentato più del rendimento che poteva ricevere da eventuali prestiti. Per cui la SVB ha cominciato a perdere denaro.
La Silicon Valley Bank per fare cassa l’8 marzo ha annunciato la vendita di titoli per una somma di 21 miliardi, prevedendo però una perdita di 2 miliardi. Se i tassi di interesse salgono, infatti, i prezzi dei titoli di Stato diminuiscono: da qui la perdita.
L’annuncio delle perdite ha incrinato ulteriormente la fiducia degli investitori, seminando il panico tra i fondi di venture capital, con una corsa allo sportello delle aziende per riscuotere i propri soldi. Finché giovedì 9 marzo si è arrivati a un ammontare di prelievi pari a 42 miliardi di dollari. Il 10 marzo, le autorità americane hanno deciso di chiudere la Silicon Valley Bank.
I depositi sono stati congelati e l’istituto è passato sotto il controllo della Federal deposit insurance corporation (FDIC) come curatore fallimentare, dopo un provvedimento del Dipartimento per la protezione e l’innovazione finanziaria della California.
Dopo la crisi originata dal crac Lehman Brothers e dall’insolvenza dei mutui subprime del 2008, venne varata negli Stati Uniti una importante riforma del sistema bancario, la legge Dodd-Frank approvata dal Congresso nel 2010. Il provvedimento contiene regole contro la speculazione, requisiti di capitalizzazione delle banche e gli famosi stress-test che servono a verificare periodicamente la solidità di bilancio delle aziende di credito.
La Dodd-Frank si applicava inizialmente a tutte le banche con attivi di bilancio superiori a 50 miliardi di dollari. Ma nel 2018, sotto la presidenza di Donald Trump, questo limite si innalzò da 50 a 250 miliardi di dollari, al di sotto della quale le banche sono esentate dalle regole e dai controlli più stringenti, che vengono invece applicati alle grandi banche. Non esistono requisiti sulla liquidità da tenere a disposizione, che invece le banche europee osservano. Né le banche americane minori hanno una revisione di vigilanza periodica, come in Europa.
Soprattutto negli anni dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump alla Casa Bianca, molti vincoli sulle banche regionali americane sono stati eliminati. In assenza di regole e con i tassi zero, molti istituti si sono assunti diversi rischi.
E ora che è arrivata la stretta monetaria della Federal Reserve, le problematiche sono emerse. La chiusura della SVB segue quella di Silvergate, banca di riferimento del settore cripto. E dopo la SVB, anche la newyorchese Signature Bank è stata chiusa dalle autorità.
Le autorità federali americane, per scongiurare l’effetto contagio, sono intervenute per evitare ricadute pesanti sui correntisti.
Il Tesoro USA, attraverso un fondo interbancario, si è impegnato a garantire l’intero ammontare dei depositi della SVB e della Signature Bank. Le garanzie, tra l’altro, vanno ben oltre i 250mila dollari coperti per legge.
Si è attivata anche la Federal Reserve, che ha messo a disposizione 25 miliardi di dollari per un nuovo fondo riservato alle banche in difficoltà.
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