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La difficoltà ad interpretare questa fase del ciclo economico è ben rappresentata dalle sorprese macroeconomiche che i dati pubblicati a febbraio, relativi al mese di gennaio, hanno riservato sul fronte del mercato del lavoro negli Stati Uniti e dell’inflazione, sia oltreoceano sia in Europa. Negli Stati Uniti nel mese di gennaio sono stati creati 517 mila nuovi posti di lavoro, ben 328 mila in più rispetto alle attese del mercato; segue il dato del deflatore del prezzo del PIL, l’indicatore di inflazione preferito dalla FED, al 4,7% su base annuale, ben al di sopra delle attese e in rialzo rispetto al mese precedente. Se consideriamo anche i dati relativi agli indici di attività economica espressi dai PMIs e dall’ISM, siamo di fronte a un’inaspettata ripresa positiva rispetto alle attese di rallentamento dell’economia americana.
Analogamente, sul fronte europeo, l’inflazione core per il mese di febbraio fa segnare, non solo un nuovo massimo assoluto, ma un incremento del 5,6%, ben superiore rispetto al 5,3 delle aspettative degli economisti. Il cambio di rotta sui mercati obbligazionari è stato immediato e violento, riprezzando il punto di arrivo dei rialzi delle Banche Centrali in maniera significativa: 50 punti base addizionali sia per la FED sia per la BCE con tassi terminali ora prezzati rispettivamente al 5,5 e al 4% da qui a sei mesi.
Per contro i mercati azionari hanno sì interrotto il trend rialzista di inizio anno, ma le correzioni sono state composte negli Stati Uniti e minime in Europa. Discorso analogo agli indici azionari vale per i mercati delle obbligazioni societarie, impattate dal rialzo dei tassi di interesse, ma estremamente composte nella componente degli spread di credito.
Un commento a parte merita il mercato azionario cinese che ha invece ritracciato quasi completamente nel mese di febbraio il movimento rialzista di inizio anno. L’entusiasmo per l’uscita dalle politiche di zero COVID e la riapertura del mercato cinese si è affievolito nel corso del mese a fronte di rischi geopolitici, il cosiddetto balloon gate, ovvero i palloni spia cinesi nello spazio aereo americano, e nel contesto di un eccessivo e tardivo posizionamento di investitori esteri su un mercato che già aveva espresso un significativo recupero sin dal mese di novembre scorso. Restiamo comunque costruttivi su quest’area geografica, anche alla luce del buon dato sul PMI cinese della scorsa settimana, e riteniamo che i mercati asiatici nel complesso vedranno la crescita accelerare e sovraperformare quella del mondo occidentale.
Quali sono dunque le applicazioni di questo repricing dei mercati a reddito fisso a fronte della relativa compostezza degli attivi rischiosi? La revisione della narrativa macroeconomica delle ultime settimane, in particolare quella relativa all’inflazione core più persistente, e la conseguente revisione a rialzo delle aspettative sui tassi terminali delle principali Banche Centrali. Riteniamo presenti da un lato incognite importanti e dall’altro rischi per il mercato azionario e del credito, nel caso i rialzi aggiuntivi dovessero venire implementati nella loro interezza e sequenza oggi prezzata dai mercati.
Per quanto riguarda le incognite, è facile prevedere che da qui all’estate la narrativa corrente sull’inflazione e crescita possa cambiare più volte. Già dalle prossime settimane i dati sull’inflazione e sull’occupazione americana per il mese di febbraio daranno una prima indicazione se i dati di gennaio siano stati un’aberrazione statistica o, viceversa, confermeranno un preoccupante rallentamento delle dinamiche di rientro di inflazione e il surriscaldamento del mercato del lavoro, impedendo alla Federal Reserve di rallentare il passo della stretta monetaria. Sul fronte delle implicazioni, anche se dovessimo assumere che le Banche Centrali, per contrastare le dinamiche inflazionistiche, volessero seguire il sentiero dei rialzi oggi prezzati dai mercati e mantenere i tassi a tali livelli elevati per un periodo prolungato, è facile ipotizzare uno scenario di repricing anche aggressivo degli attivi rischiosi, ovvero dei mercati azionari e del credito. Tale repricing, indotto da un incrementale rischio di recessione, conseguente all’ulteriore stretta monetaria, porterebbe gli investitori a rifugiarsi sulle parti lunghe delle curve dei titoli governativi. Di qui la convinzione che, in un contesto di aspettative di rialzi più aggressivi da parte delle Banche Centrali, le parti lunghe delle curve dei titoli di stato già ora offrono valore, non solo per i rendimenti offerti, ma anche in un’ottica di protezione dal rischio in eccessiva stretta monetaria indotta da un’inflazione più persistente del previsto.
Le dinamiche macroeconomiche relative a crescita e inflazione saranno dunque decisive nelle prossime settimane e mesi nell’orientare le decisioni delle Banche Centrali e l’incertezza su tali variabili è ora molto elevata. Il rischio di higher for longer, ovvero tassi più elevati per un periodo protratto, è quello più evidente per gli attivi a rischio e la volatilità implicita sui mercati azionari e del credito non riflettono, al momento, tali rischi. Comprare protezioni attraverso strutture opzionali, put su indici azionari, sembra oggi una cautela interessante e a buon mercato.
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