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Costo del lavoro e cuneo fiscale in Italia

Cos’è il costo del lavoro e perché è un indicatore utile

Marzo 2024

Tempo di lettura: 3 min

L’Italia è il quinto tra i Paesi OCSE in termini di cuneo fiscale; da tempo, infatti, si parla della necessità di ridurlo.

Il costo del lavoro rappresenta l’ammontare delle spese sostenute da un’azienda per pagare i lavoratori, quindi non solo lo stipendio che entra in tasca ogni mese ai lavoratori.

Le componenti del costo del lavoro

Il costo del lavoro comprende:

  • la retribuzione lorda, ovvero lo stipendio percepito comprensivo di tutte le tasse;
  • le imposte e i contributi che ricadono sul lavoratore;
  • i contributi sociali e previdenziali pagati dal datore di lavoro;
  • le spese legate a corsi di formazione e dispositivi di sicurezza.


La componente principale del costo del lavoro in Italia è la retribuzione lorda, che rappresenta il 71,3% del costo del lavoro. Nei rapporti di lavoro dipendente, la retribuzione lorda è composta da cifre fisse previste dal contratto collettivo o individuale (come la paga base o gli scatti di anzianità) ed elementi variabili come straordinari o premi, a cui si aggiungono i trattamenti di fine lavoro in caso di cessazione del rapporto. Nel caso di lavoro autonomo, la retribuzione lorda corrisponde al semplice compenso.

La seconda componente del costo del lavoro sono i contributi sociali, che ne rappresentano il 27,7%, e sono costituiti da:

  • contributi obbligatori per legge;
  • contributi volontari e contrattuali;
  • accantonamenti del trattamento di fine rapporto;
  • contributi sociali figurativi.


La struttura del costo del lavoro varia però a seconda del settore di attività economica, della classe dimensionale dell’azienda e della ripartizione geografica.

Il cuneo fiscale

La differenza tra retribuzione netta e costo del lavoro è il cosiddetto “cuneo fiscale e contributivo”, di cui una parte è a carico impresa e una a carico lavoratore. L’azienda paga la retribuzione lorda più i contributi a carico del datore di lavoro. E sulla retribuzione lorda il lavoratore poi paga l’IRPEF più i contributi a carico del dipendente.

Nel confronto internazionale, l’Italia ha un cuneo molto elevato, qualunque sia la retribuzione presa a riferimento. Da anni in Italia si parla della necessità di ridurre il cuneo fiscale perché la differenza tra il lordo e il netto nelle buste paga dei lavoratori nel nostro Paese è tra le più alte al mondo. Secondo l’OCSE, nel 2022 il cuneo fiscale italiano era il 5° più alto tra i Paesi più sviluppati, dietro Belgio, Germania, Francia e Austria, con un valore medio pari al 45,9% della retribuzione lorda, contro una media dei Paesi OCSE pari al 34,6%.

Nel caso di un lavoratore single con retribuzione media di 31mila euro l’anno, fatta 100 la retribuzione netta, le imposte pesano per il 32% e i contributi carico lavoratore per un altro 14%; mentre i contributi carico datore pesano per il 61%. Sul netto che va al lavoratore si aggiunge, quindi, il 107% di tasse e contributi. Il cuneo poi si alza e si abbassa a seconda delle retribuzioni, data la progressività dell’IRPEF.

Perché è importante gestire bene il cuneo fiscale?

In Italia il cuneo fiscale è così alto perché il livello di protezione sociale del nostro Paese è molto elevato, di conseguenza è alta la spesa pubblica per il welfare.

Il tema è molto discusso. Per l’impresa, monitorare il costo del personale è importante per gestire al meglio l’attività, trovando un equilibrio tra la sostenibilità economica e la garanzia di un’adeguata retribuzione dei lavoratori. Ma avere un cuneo fiscale eccessivamente pesante può incidere sull’offerta di lavoro disincentivando le assunzioni e portando invece ad aumentare le ore lavorate da chi è già assunto. Il che porta anche a bassi livelli di occupazione.