La pandemia ci ha tolto tanto. Per la sicurezza comune, siamo stati costretti a limitare al minimo i contatti con le altre persone. I parenti, soprattutto quelli più anziani, sono diventati persone a rischio, da proteggere privandoci della loro compagnia (e privandoli della nostra). Il numero di amici frequentati è stato ridotto all’osso e limitato a coloro che si comportano in maniera responsabile, come se subdolamente una nuova tipologia di giudizio si fosse insinuata nei rapporti interpersonali.
Dal punto di vista economico, per alcuni settori, come quello alberghiero, i vari lockdown hanno comportato la chiusura pressoché totale da un anno a questa parte. Per altri, in cui si è potuto ricorrere a formule di lavoro da remoto, è stato però necessario rinunciare alla condivisione di idee e alla collaborazione tra colleghi tipica degli ambienti di lavoro.
La sensazione è quella di vivere una vita per molti versi mutilata, sacrificata per un bene superiore in attesa di un ritorno alla normalità (o a qualcosa che ci assomigli).
E oggi, con i piani di vaccinazione che proseguono a ritmo sostenuto in buona parte del mondo (purtroppo, non ancora in Italia e nell’UE in generale), c’è chi inizia a intravedere la luce in fondo al tunnel, a scorgere i primi segni del nuovo mondo che emergerà dalle ceneri lasciate dalla pandemia.
Una volta riconquistata la libertà, una delle reazioni naturali consisterà nel cosiddetto “revenge spending”, ossia nella volontà di spendere e consumare ancora di più dopo un periodo in cui lo si è potuto fare molto poco (e forse male).
Una spesa che sarà alimentata anche dai risparmi accumulati precauzionalmente in questi mesi, soprattutto negli Stati Uniti dove, complici i trasferimenti diretti effettuati prima dall’amministrazione Trump e ora da quella Biden, il tasso di risparmio ha raggiunto livelli anomali per il Paese (la cui storia è caratterizzata da un’alta propensione dei cittadini a consumare, piuttosto che a mettere da parte).
Il risultato è stata l’accumulazione di vaste disponibilità liquide, visibile per esempio nell’esplosione dei depositi nei conti correnti e degli investimenti negli strumenti del mercato monetario, indizio di una forte domanda potenziale pronta per essere sfogata e in grado di trainare la ripresa economica. La tendenza degli ultimi mesi di indicatori economici come le vendite al dettaglio o la fiducia dei consumatori (in miglioramento dopo il crollo registrato l’anno passato) sembrano confermare che il progressivo ammorbidimento delle misure di distanziamento sociale dovrebbe portare a una rapida risalita dei consumi.
Consumi che dovrebbero orientarsi proprio verso quei settori dove la pandemia ha colpito più duramente, ossia verso i servizi. Infatti, passata la fase più acuta dell’emergenza sanitaria, le persone desidereranno innanzitutto passare del tempo spensierato in compagnia di amici e parenti, assistere a concerti, spettacoli teatrali e film al cinema e tornare a viaggiare in giro per il mondo. Ricominciare a fare, in sostanza, tutto ciò a cui abbiamo dovuto rinunciare nell’ultimo anno e per cui l’e-commerce, e il mondo digitale nel complesso, non offrono surrogati all’altezza.
Se infatti gli acquisti online ci hanno permesso di procurarci i beni di cui avevamo bisogno (o voglia) nonostante molti negozi fossero chiusi, le videochiamate non sono state in grado di procurarci la stessa soddisfazione di un aperitivo tra amici o di una cena di famiglia al ristorante. Questo genere di esperienze, in fondo, non può essere acquistato su internet.
Non dovrebbe sorprendere, quindi, che nel maggio scorso, quando ha riaperto per la prima volta dopo mesi di chiusura, il parco tematico Disney di Shanghai abbia registrato il sold-out dei biglietti in pochissimi minuti1, a dimostrazione di quanto sia diffuso il desiderio di esperienze che consentano di soddisfare il bisogno di contatto umano, nel mondo fisico e non in quello digitale.
Nel mondo post-pandemia, quindi, il prodotto più venduto sarà l’esperienza, un momento capace di creare ricordi memorabili. Un trend che si inserisce perfettamente in quello più duraturo dell’ascesa della “experience economy”, un concetto di cui gli economisti parlano dalla fine degli anni ’90, ma che solo nell’ultimo decennio ha vissuto la sua definitiva affermazione. La sua caratteristica fondamentale è la predilezione dell’esperienza (spendere per fare) sul possesso (spendere per avere), in quanto la prima fornisce una felicità più duratura rispetto al secondo. Un nuovo ordine di priorità particolarmente diffuso tra i Millennials, attirati anche dalla possibilità di condividere questi momenti con le altre persone, anche tramite i social network.
Prima del 2020, venivamo da un decennio in cui in Paesi come USA e UK la vendita di biglietti per eventi e parchi divertimento e la spesa per ristoranti e viaggi erano cresciute molto più velocemente rispetto alle vendite di beni fisici2. Allungando l’orizzonte al nuovo millennio e al Vecchio Continente, secondo i dati OCSE, negli Stati Uniti e in Europa la spesa per servizi ricreativi e cultura è cresciuta a più del doppio rispetto alla crescita del PIL negli ultimi 20 anni.
E, se le misure adottate per contrastare la diffusione del coronavirus hanno mortificato l’experience economy (basti pensare al settore del turismo), le persone restano esseri sociali e ricercheranno sempre di riunirsi con altri individui e di vivere esperienze uniche. Non appena le misure di distanziamento sociale verranno meno, quindi, torneranno a spendere per costruirsi ricordi memorabili, condivisi e da condividere.
La ripresa post-COVID sarà sostenuta dalla spesa legata all’experience economy. Il fondo Pictet-Human, l’ultimo nato all’interno della vasta gamma tematica di Pictet, è pronto a cavalcare questo trend tramite la componente di “Vita sociale” del proprio universo di investimento, legata proprio ai settori dei servizi dell’experience economy, come turismo, ristorazione, eventi e intrattenimento.
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