La crisi sanitaria globale scatenata dalla pandemia di Coronavirus ha saldamente puntato i riflettori sul modo in cui i Paesi saranno in grado di gestire il fardello del salvataggio delle economie da un tracollo senza precedenti. La domanda che gli investitori nel reddito fisso si pongono è quali Paesi sopravviveranno meglio alla tempesta e se seguirà una crisi del debito sovrano.
I deficit dei governi spuntano da tutte le parti, trainati da due forze. Innanzitutto, sono stati istituiti imponenti programmi fiscali per sostenere le famiglie e le aziende in un momento in cui molti hanno visto i propri redditi e ricavi precipitare per via del lockdown globale. In secondo luogo, il gettito fiscale dei governi è stato duramente colpito dalla scarsità dell’attività economica, sia interna che internazionale.
Finora i governi hanno annunciato programmi di stimoli fiscali in risposta alla crisi del Coronavirus per importi pari a 4,1% del PIL globale potenziale, quasi metà dei quali proverrà dai soli Stati Uniti. Nell’eurozona, i programmi di stimolo rappresentano il 3% del PIL, mentre in Giappone equivalgono al 10%. Questa spesa necessita di ingenti volumi di emissione di debito governativo. Le banche centrali dei Paesi meglio posizionati, come gli Stati Uniti, che beneficiano dello status di valuta di riserva, possono assorbire gran parte, se non tutto, il nuovo debito attraverso i loro programmi di acquisto di attivi. Il bilancio della Fed statunitense è stato aumentato da 4.000 a 6.500 miliardi di dollari solo negli ultimi due mesi, e prevediamo che raggiungerà quota 8.000 entro fine anno. Nel Regno Unito, la Bank of England sta portando avanti un programma di acquisto di attivi ancora più aggressivo, acquistando obbligazioni direttamente dal Tesoro sotto forma di monetizzazione del debito – una politica che per lungo tempo è stata fuori discussione.
Ma se il lockdown dei Paesi dovesse durare più di due trimestri, si dovranno adottare nuove misure fiscali, con conseguenti problemi di solvibilità per alcuni Paesi già fortemente indebitati. Riteniamo che il debito statunitense crescerà dal 108% del PIL a una cifra compresa tra il 133% e il 145% in seguito al programma di stimoli pari a circa il 7% del PIL, in base alla forza di ripresa dell'economia. Nel caso peggiore, potrebbe raggiungere il 165% del PIL entro la fine del 2022. Nel complesso, maggiori livelli di debito potrebbero far suonare alcuni campanelli d’allarme – vale la pena di ricordare che durante la crisi del debito sovrano dell’eurozona, la Grecia ha rischiato di essere espulsa dall’eurozona dato che il suo debito superava il 150% del PIL.
L’Italia è stata la zona calda durante la crisi dell’eurozona, e potrebbe dimostrarsi tale ancora una volta. Il debito del governo italiano potrebbe potenzialmente raggiungere il 150% del PIL entro la fine dell’anno. La Banca Centrale Europea possiede già titoli di Stato pari a circa il 22% del PIL italiano e, in quanto tale, ha un ruolo importante nella sostenibilità del debito del Paese. La BCE ha già dichiarato che avrebbe assunto un approccio flessibile agli acquisti delle obbligazioni degli Stati membri e che quest’anno assorbirà circa il 90% delle nuove emissioni nette dei governi della regione della moneta unica.
Questi acquisti da parte della BCE sono stati decisi nel contesto delle preoccupazioni europee per la pericolosa mutualizzazione del debito. Ma in ultima analisi, se si vuole tenere unita l’eurozona, sarà necessaria la condivisione di parte del debito – l’atteggiamento “extend and pretend” (ossia concedere tempo e fingere che il debito sia stato pagato) può essere sostenuto solo fino a quando il mercato verificherà la risoluzione politica della regione. Prevediamo taluni movimenti nella direzione della mutualizzazione, che garantirebbero il contenimento dei rendimenti sulle obbligazioni italiane.
La BCE deve affrontare una difficile operazione di riequilibrio nel decidere come comportarsi nei prossimi mesi.
La BCE, tuttavia, deve affrontare una difficile operazione di riequilibrio nel decidere come comportarsi nei prossimi mesi, e dovrà mostrarsi abile nell’applicare la "teoria dei giochi". Desidera evitare un’altra crisi del debito sovrano, ma desidera anche eliminare del tutto la pressione sugli esponenti politici dell’eurozona affinché si raggiunga un accordo di qualche tipo sulla mutualizzazione del debito. Se la Banca Centrale fosse troppo accomodante e comprimesse troppo gli spread delle obbligazioni di Stato dei Paesi europei del sud, indebolirebbe la necessità da parte dei governi dell’eurozona di mettersi d’accordo su come procedere.
Una preoccupazione ancora più immediata è che alcune economie dei mercati emergenti siano già rimaste senza spazio di manovra in termini monetari. L’inflazione non sarebbe un problema per un certo periodo nelle economie sviluppate, in quanto una domanda depressa e deboli prezzi del petrolio trascinano verso il basso i prezzi al consumo in generale, a prescindere dall’intervento aggressivo della Banca Centrale. In alcune economie emergenti, tuttavia, le politiche delle banche centrali stanno già funzionando per trascinare al ribasso le rispettive valute in quello che potrebbe trasformarsi in un altro ciclo di svalutazione/inflazione. Un dato che preoccupa è che alcune grandi economie in via di sviluppo – come Turchia, Brasile, Sudafrica – stanno andando in questa direzione.
La pandemia globale è destinata a esacerbare le tensioni che già esistono nell’economia globale e a creare nuovi problemi. Il modo in cui i governi sono entrati nella crisi sarà fondamentale per capire come ne usciranno.
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