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Negli ultimi quarant’anni, il consumo globale di energia è più che triplicato. Secondo la Banca Mondiale, il contributo della produzione di elettricità e calore alle emissioni globali di CO2 è salito a quasi la metà da un terzo del 1980.
Ma, per quanto possa sembrare controintuitivo, secondo il professore Hans B. Püttgen, è sulla produzione energetica che bisogna puntare per realizzare una transizione reale verso le emissioni zero.
Nel suo nuovo libro, “Electricity: human’s low carbon future”, Püttgen sostiene infatti che il mondo dispone già di una serie di tecnologie innovative per ridurre di due terzi le emissioni associate alla produzione e al consumo di energia ed elettricità entro il 2035.
“Entro il 2035, l’uso delle tecnologie attualmente disponibili, o già operative in installazioni pilota, può dare un contributo significativo alla riduzione del carbonio, migliorare l’accesso all’energia in tutto il mondo e ridurre l’uso di combustibili fossili”, si legge nel libro scritto da Püttgen con Yves Bamberger, membro dell’Accademia nazionale delle tecnologie di Francia.
“Per quanto riguarda l’energia, la priorità è decarbonizzare sia la produzione che il consumo di energia, garantendo al contempo un migliore accesso a un’energia affidabile e conveniente per le persone svantaggiate”.
Per illustrare la loro tesi, Püttgen e Bamberger utilizzano un approccio non convenzionale. Nel libro creano uno Stato immaginario che chiamano “Energia”, composto nel 2015 da 50 milioni di cittadini con un tenore di vita simile a quello delle economie sviluppate. La nazione in questione ha ambiziosi obiettivi in linea con l’Accordo di Parigi e sfrutta le tecnologie disponibili, come pompe di calore, veicoli elettrici, idrogeno, sistemi avanzati di trasmissione di potenza e accumulo di energia di nuova generazione.
È così che, tra il 2015 e il 2035, le emissioni di Energia vengono ridotte del 63% mentre la produzione di elettricità a basse emissioni di carbonio aumenta del 42%. In questo periodo, il tenore di vita dei cittadini non viene influenzato, il che aiuta ottenere un ampio consenso intorno alla transizione green.
“La transizione di Energia del 2035 mette in evidenza il contributo che le tecnologie esistenti possono apportare, se adeguatamente implementate, verso la decarbonizzazione”, si legge nel libro.
I risultati del libro sono supportati, per giunta, da un recente rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia, secondo cui le nuove tecnologie già implementate o in fase di sviluppo hanno il potenziale per ridurre le emissioni di CO2 del settore energetico globale di quasi 35 gigatonnellate entro il 2070, ovvero il 100% di quanto necessario per realizzare una transizione sostenibile.
Serviranno, ovviamente, investimenti significativi e su vasta scala nella produzione e nelle reti. La stima è che sarà necessario investire circa l’1-2% del PIL mondiale medio ogni anno per diversi decenni a venire. Una piccola percentuale se confrontata con il 6,8% del PIL, pari a 6 trilioni di dollari, che il mondo spende ogni anno per sovvenzionare il settore globale dell’energia da combustibili fossili.
“Non ci sono scuse per non agire senza ulteriori indugi... Una parte significativa del percorso verso un mondo a zero emissioni può essere compiuta già entro il 2035”, si legge nel libro.
Püttgen ritiene inoltre che una decarbonizzazione rapida e profonda non possa essere realizzata senza l’uso di una qualche forma di tassazione del carbonio. Uno strumento fondamentale per accelerare il ritmo della decarbonizzazione, rendendo più costoso l’uso di tecnologie ad alta intensità di emissioni e fornendo incentivi finanziari alle imprese e ai consumatori per passare a combustibili alternativi non fossili.
Ma l’impatto sociale di tali misure tende a essere trascurato, poiché una semplice tassa sul carbonio aumenta il costo della vita netto delle famiglie più povere, per le quali l’energia assorbe una quota maggiore della spesa mensile.
Ecco perché i due autori immaginano che nello Stato di Energia il governo possa introdurre una tassa sul carbonio che viene universalmente riscossa e ridistribuita alle famiglie, in base al numero dei componenti.
Dal momento che il ricavato sarebbe integralmente ridistribuito alla popolazione, non sarebbe percepito quindi come l’ennesima tassa governativa.
E per evitare distorsioni del mercato, Püttgen raccomanda un accordo tra almeno 55 Paesi che rappresentano il 55 per cento delle emissioni mondiali, analogamente a quanto fatto per gli accordi di Kyoto e Parigi. “Sarebbe ingenuo credere che tutti i Paesi del mondo applicherebbero prontamente la tassa sul carbonio... eppure la sua attuazione universale è essenziale per evitare distorsioni del mercato”, dice.
Dopo sei anni di negoziati complessi, al vertice delle Nazioni Unite a Glasgow è stato raggiunto quello che potrebbe essere un accordo rivoluzionario sulla tassazione del carbonio. L’accordo consentirebbe a enti statali e privati di aiutare a raggiungere i loro obiettivi di Parigi, acquistando crediti di compensazione che rappresentano tagli delle emissioni da parte di altri. E alcuni proventi verrebbero in più utilizzati per pagare l’adattamento ai cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo.
Dopo il vertice, i prezzi del carbonio in Europa sono balzati a un picco storico al di sopra di 66 euro la tonnellata, alimentando la speranza che un mercato del carbonio funzionante correttamente possa incoraggiare le industrie inquinanti a liberarsi dai combustibili fossili e investire in tecnologie più pulite.
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