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Archiviamo un mese di giugno con delle buone performance di azioni ed obbligazioni, mentre le prime giornate di luglio stanno assumendo un colore diverso; per alcuni momenti è riapparso lo spettro del 2022. I mercati si spaventano del rinnovato atteggiamento aggressivo delle Banche Centrali e si annoverano perdite contemporanee sia sui mercati azionari che su quelli obbligazionari. Certo, la compostezza dei movimenti è in questi giorni molto più convincente rispetto al disordine del 2022, ma è giusto chiedersi cosa stia succedendo e quali potrebbero essere le reazioni dei mercati ai diversi scenari.
Dal punto di vista macroeconomico, continua la dicotomia con cui stiamo vivendo da diversi mesi tra due macrosettori in controtendenza: soffre la manifattura, di fatto in recessione a livello globale, mentre tengono in maniera convincente i servizi. È giusto ricordare che il dinamismo dei servizi sostiene i numeri di crescita nel loro complesso, dato il peso maggiore che i servizi hanno nelle economie avanzate. L'attività economica nel suo complesso sta continuando a procedere con ritmi di crescita non entusiasmanti, ma sicuramente non prossimi ai livelli recessivi a lungo temuti. Anche gli indicatori di fiducia delle imprese, utili per capire i trend futuri, confermano la differente fase della manifattura e dei servizi: i principali indicatori dell'attività industriale, dall'indice ISM manifatturiero americano all'indice IFO tedesco ai PMI manifatturieri globali, sono tutti in zona di contrazione, mentre le indagini di fiducia sul settore dei servizi sono in zona di espansione.
I dati di inflazione comunicati a giugno e relativi al mese di maggio confermano la traiettoria discendente della dinamica dei prezzi. Questa discesa appare convincente, ma gli occhi delle Banche Centrali non sembra sufficientemente veloce; le autorità di politica monetaria non perdono occasione per esprimere la propria preoccupazione. Negli Stati Uniti, i dati sul mercato del lavoro mostrano solo timidi segnali di rallentamento della creazione occupazionale, mentre la dinamica salariale non soddisfa ancora i desiderata della FED. Il mercato non può che registrare questi segnali, dolorosi soprattutto per le parti a breve della curva dei rendimenti. Il picco del ciclo dei rialzi viene via via spostato qualche basis point più in alto man mano che passano le settimane. Negli Stati Uniti siamo vicini al 5.5%, in area Euro siamo al 4%, mentre nel Regno Unito siamo addirittura vicini al 6.5%. Le parti a lunga delle curve trovano paradossalmente conforto da questa vigilanza continua della politica monetaria e soffrono meno.
I mercati azionari sono in parte confortati dalle dinamiche macroeconomiche, non così cupe, e guardano la stagione degli utili USA che sta per entrare nel vivo. Restano sullo sfondo, pur impattando anche sul comportamento immediato dei prezzi delle azioni, le tematiche di lungo termine, in particolare quelle relative all'Intelligenza Artificiale e ai suoi effetti sul mercato del lavoro e sulla produttività delle imprese. Si iniziano a delineare stime sia macro che micro sempre più precise e si intravedono con sempre maggiore chiarezza i possibili beneficiari e i perdenti di questa che pare essere una vera e propria rivoluzione tecnologica.
Un capitolo a parte merita la Cina, in cui le dinamiche di crescita e inflazione sono decisamente moderate, al punto da destare preoccupazione per un possibile concretizzarsi di uno scenario deflazionistico. Le incertezze ovviamente non mancano, ma è giusto notare come lo scenario di investimento che si sta delineando offra qualche spunto: quello forse più importante è la rinnovata possibilità dell'attività di costruzione di portafoglio. Le correlazioni tra le attività finanziarie si sono sistemate, le volatilità, soprattutto quelle delle obbligazioni, si stanno riducendo, il tutto a fronte di rendimenti complessivi di azioni ed obbligazioni che giustificano un atteggiamento quantomeno di presenza attiva sui mercati.
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