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Impatto delle elezioni statunitensi sull’economia e sui mercati

Ottobre 2020
Materiale di marketing

Elezioni USA come non si erano mai viste prima

La campagna per le presidenziali 2020 porta la politica statunitense in un territorio del tutto nuovo. Questo significa che gli investitori devono prestare molta attenzione.

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Panoramica

Il 3 novembre, gli americani voteranno non solo per decidere chi tra Donald Trump e Joe Biden sarà il loro prossimo Presidente, ma anche per scegliere l'intera Camera dei Rappresentanti e 35 dei 100 seggi al Senato. E come se le complicazioni non fossero state abbastanza per gli investitori, c'è ora una svolta inquietante in questa campagna, già molto combattuta e aspramente contestata. L’esito positivo del test al COVID-19 per Trump, 32 giorni prima delle elezioni, getta la politica statunitense in un territorio inesplorato. La gamma dei possibili risultati, per dirla con parole gentili, si è ampliata.

Prima che lo stato di salute di Trump fosse reso pubblico, il sito di previsioni Predictit stimava al 48% la possibilità di una vittoria netta dei Democratici (Camera, Senato e Casa Bianca) e una possibilità del 17% di vittoria totale dei Repubblicani.1 Entrambi i dati parevano sovrastimati all’epoca – la prospettiva che Biden o Trump avrebbero dovuto affrontare un Congresso diviso era sottovalutata. Adesso invece la situazione è molto più complicata. Non è chiaro se la diagnosi di Trump influenzerà gli elettori. 

Tuttavia, anche se gli investitori si trovano davanti a numerose complicazioni, i temi centrali rimangono gli stessi. Due scenari in particolare meritano considerazione e analisi: una vittoria netta per i Democratici o per i Repubblicani. Una vittoria totale per uno dei due partiti (ossia di entrambe le Camere del Congresso e della Casa Bianca) consentirebbe di apportare cambiamenti significativi alla politica e avrebbe importanti conseguenze per i mercati. 

Una differenza fondamentale tra i partiti è l’approccio alle tasse, e quindi agli stimoli fiscali. Per i Repubblicani, i tagli delle tasse sono uno strumento fiscale sul fronte dell'offerta utilizzato per stimolare l'economia. La principale eredità economica del primo mandato di Trump è stata una riduzione dell’aliquota fiscale nominale dal 35% al 21% e una riforma fiscale ad ampio raggio. I mercati azionari sono stati sproporzionatamente favoriti da queste misure, con aliquote fiscali inferiori che, secondo i nostri calcoli, hanno rappresentato 5,2 punti percentuali dei rendimenti totali del 13,4% dell’S&P 500 da gennaio 2018.

I Democratici, dal canto loro, vedono un aumento delle tasse come uno strumento per finanziare provvedimenti sul fronte della domanda per ottenere lo stesso risultato e ridistribuire la ricchezza dagli strati di popolazione ad alto reddito a quelli a basso reddito.

(Cliccare qui per un riepilogo dettagliato delle possibili prospettive politiche per ogni scenario).

02

Vittoria di Biden

Maggiori tasse sugli utili societari, spesa più elevata per ridurre le disuguaglianze

Le proposte fiscali di Biden reintegrerebbero metà dei tagli operati da Trump, portando l’aliquota fiscale nominale massima per le aziende al 28%, cosa che, secondo i nostri calcoli, innalzerebbe l’aliquota effettiva dal 19 al 23%. A parità di condizioni, nel 2021 questa decisione provocherebbe un calo di circa il 5% degli utili per azione dell’S&P 500.

Altre imposte, come l’imposta minima sul reddito lordo e l'imposta sui proventi straordinari, potrebbero erodere ulteriormente gli utili societari. Tuttavia, data la condizione di fragilità dell'economia post-COVID, è probabile che l'amministrazione Biden assuma un approccio più riflessivo, scaglionando nel tempo gli aumenti delle tasse.

Fig. 1 - Tempi di tasse
Aliquota fiscale effettiva per le aziende dell’S&P 500
Aliquota fiscale effettiva per le aziende dell’S&P 500
Fonte: Eikon, Pictet Asset Management. Dati relativi al periodo 31.12.1989-30.09.2020.

In caso di vittoria netta dei Democratici, gli aumenti delle imposte sulle persone fisiche e sulle società sarebbero accompagnati da aumenti della spesa pubblica, soprattutto per la sanità, le infrastrutture e l’istruzione. L’agenda di Biden punta a una significativa espansione del welfare, con iniziative che vanno dagli alloggi a prezzi accessibili all’istruzione pre-scuola materna. Da un punto di vista economico, tali politiche presentano moltiplicatori elevati, a significare che la spinta all’economia in generale – e al potere d’acquisto in particolare – sarà molto maggiore rispetto alle dimensioni della misura stessa.

Per contro, questo programma sarebbe finanziato in parte con un aumento delle tasse sugli utili societari e comporterebbe inoltre maggiori costi del lavoro. La pressione al ribasso sui margini di profitto deprimerebbe gli investimenti privati, nonostante la parziale compensazione grazie alla spesa governativa. Più in generale, una vittoria netta di Biden espanderebbe ulteriormente il “big government”, pagato tramite deficit in aumento, con il rischio che vengano adottate alcune delle misure più estreme propagandate dalla Teoria monetaria moderna. 

Maggiore regolamentazione, maggiori diritti dei lavoratori, un ritorno a una diplomazia più convenzionale

 Una vittoria netta dei Democratici darebbe anche vita a un regime normativo e antitrust più severo, che potrebbe assumere la forma di una nuova legislazione antitrust (possibile solo con un governo a guida democratica) o, con più probabilità, di controlli maggiori sulla base delle leggi esistenti. Esiste poi la possibilità di una "imposta sui proventi straordinari”, che riguarderebbe in particolare le società tecnologiche.

I Democratici propongono un aumento del salario minimo federale a 15 dollari l’ora dagli attuali 7,25 – sebbene l’impatto di questa scelta sia mitigato dal fatto che molti Stati definiscono autonomamente l’ammontare dei salari minimi garantiti. Insieme a nuove regole che facilitino la sindacalizzazione e la contrattazione collettiva, queste politiche potrebbero segnare un'inversione di tendenza nell'annoso declino del peso del lavoro nell'economia rispetto a quello del capitale. Tuttavia ciò potrebbe realizzarsi solo con il sostegno di un Congresso a maggioranza democratica.

Sebbene un’inversione significativa della politica protezionistica di Trump sia improbabile, non è da escludere che un'amministrazione guidata da Biden assuma un approccio più diplomatico ai negoziati di politica estera, anche con la Cina. Dal punto di vista della Cina, gli Stati Uniti evolveranno in un "concorrente ragionevole" con possibilità di cooperazione in materia di sanità e clima.

L'ambiente al centro dell'attenzione

Una vittoria democratica rimetterebbe inoltre gli Stati Uniti al centro dell'impegno globale per limitare il riscaldamento globale.

Biden mira a ottenere un’economia con azzeramento delle emissioni nette entro il 2050, impegnando 2.000 miliardi di dollari in nuovi investimenti nei prossimi quattro anni, la proposta più ambiziosa avanzata da qualsiasi candidato alla Presidenza.

Le sue proposte radicali comprendono la generazione di elettricità esclusivamente da fonti rinnovabili entro il 2035 e il raddoppio del tasso di implementazione dei pannelli solari, con l’installazione di 500 milioni di unità, entro i prossimi cinque anni. Biden mira anche a superare la Cina come leader nel settore delle auto elettriche, aumentando gli appalti federali. 

L’agenda di Biden sul clima pone gli Stati Uniti in linea con gli obiettivi di Europa e Regno Unito. Insieme alla Cina, che ha recentemente annunciato il proprio obiettivo di diventare neutrale sul piano delle emissioni di carbonio entro il 2060, la politica di Biden potrebbe rinvigorire l'impegno globale per arrestare il cambiamento climatico e proteggere la biodiversità. 

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Vittoria di Trump

La Cina rimane nel mirino, il motto "America First" si rafforza

Una vittoria dei Repubblicani sarebbe vista come la rivendicazione della posizione di Trump sulla Cina e intensificherebbe l'impegno per sganciare gli Stati Uniti dai mercati finanziari, dalla tecnologia e dalle filiere produttive cinesi. 

Le dichiarazioni secondo le quali la Cina non sarebbe riuscita a rispettare gli impegni assunti potrebbe portare a un collasso dell’accordo commerciale di Fase Uno e far scattare dazi ancora maggiori sulle importazioni dalla Cina. Un’ulteriore escalation delle controversie commerciali potrebbe avere ripercussioni più ampie. Non solo le dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale potrebbero intensificarsi, ma anche la condizione di Taiwan potrebbe diventare una fonte di tensione tra Cina e Stati Uniti. Dal punto di vista cinese, il disaccoppiamento dagli Stati Uniti è impegnativo, ma offre anche una possibilità per rafforzare la sua sfera d’influenza, soprattutto nel resto dei mercati emergenti.

Gli Stati Uniti si sgancerebbero anche dalle istituzioni internazionali come la NATO e l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Le relazioni con i Paesi europei sarebbero messe a dura prova dai dazi sulle esportazioni di acciaio e da altre questione relative alla sicurezza.

L’attenzione è sul “fiscal cliff”

Considerate l'imponenza delle riforme fiscali nel corso del suo primo mandato, una seconda amministrazione Trump difficilmente modificherebbe ulteriormente il regime fiscale per le aziende, anche qualora il Congresso fosse a guida repubblicana. Tuttavia, l’attenzione si sposterebbe sull’incombente “fiscal cliff” –  una serie di singoli tagli fiscali temporanei che dovrebbero finire nel 2025. È possibile un significativo attrito tra Stati Uniti e Paesi europei/OCSE sulla pianificazione di imposte globali per i servizi digitali, che ricadrebbero in modo sproporzionato sulle società tecnologiche statunitensi.

Le preoccupazioni ambientali finiscono in secondo piano

L'abbandono del Clean Power Plan, il piano per le energie pulite varato da Obama, è destinato a proseguire. Nuovi provvedimenti potrebbero comprendere la concessione di terreno federale per esplorazioni alla ricerca di giacimenti petroliferi, regole meno severe sulle emissioni automobilistiche e sui livelli di inquinamento consentiti alle aziende industriali e alle centrali elettriche. Il settore energetico riceverebbe un forte supporto sotto forma di aiuto diretto e semplificazione delle esportazioni di gas. Tuttavia, il progresso di alcune di queste misure potrebbe presumibilmente essere ostacolato da azioni legali o dall'intransigenza di alcuni governi statali e locali, come è successo durante il primo mandato di Trump.

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Dove il rosso e il blu si incontrano: sovrapposizioni politiche

La quota spropositatamente bassa di tasse pagate sui profitti da parte delle grandi società tecnologiche è destinata a richiedere un intervento anche da un Governo a maggioranza Repubblicana. La recente indagine sull’antitrust da parte del Dipartimento di Giustizia contro Alphabet in relazione alle sue pratiche anti-concorrenziali indica che le società tecnologiche non sono immuni da verifiche e censura, a prescindere dal colore del governo in carica.

Una vittoria netta per ciascuno dei due partiti significherebbe anche una probabile spinta alla spesa per le infrastrutture – un governo unificato sarebbe in grado di raggiungere l'accordo sulla forma, sulla sostanza e sui dettagli di qualsiasi piano in un modo difficilmente realizzabile da un governo diviso.

Anche l’onshoring (rilocalizzazione della produzione sul suolo nazionale) ha il sostegno di entrambi i partiti, attraverso incentivi come i crediti fiscali e il rifiuto del governo federale di offrire contratti ad aziende che delocalizzano la produzione in Cina. Entrambi i partiti sono inclini a perseguire una linea dura contro la Cina, sebbene da un’amministrazione Biden ci si aspetti un approccio più costruttivo.

La determinazione dei prezzi dei farmaci potrebbe essere nel mirino di entrambe le amministrazioni: i recenti ordini esecutivi di Trump sui prezzi dei farmaci, che stabiliscono un tetto o un limite massimo per gli aumenti dei prezzi, dimostrano che non è una questione che sta a cuore solo ai Democratici. I prezzi dei farmaci passeranno tuttavia in secondo piano, finché lo sviluppo dei vaccini rimarrà una priorità.

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Implicazioni per gli investimenti

Negli ultimi cinquant’anni molte elezioni presidenziali hanno prodotto un impatto solo temporaneo sui mercati. Questo è il quadro che emerge confrontando i movimenti dei mercati azionari nei tre mesi precedenti al voto e i loro comportamenti nei tre mesi successivi (si veda la Fig. 2). Le eccezioni principali sono state la vittoria elettorale di Ronald Reagan nel 1980, dopo la quale si è verificata una recessione provocata dalla combinazione di uno shock petrolifero e di bruschi rialzi dei tassi d’interesse, e, ovviamente, la campagna vittoriosa di Trump nel 2016, quando la fase di vendite diffuse durante la corsa al ballottaggio è stata trasformata in un rally tramite i tagli delle tasse.
Fig. 2 - Conseguenze della politica
Impatto delle elezioni politiche statunitensi sul mercato azionario
Impatto sul mercato delle elezioni statunitensi nella storia
Fonte: Eikon, Pictet Asset Management. 

Una vittoria netta in una qualsiasi delle due direzioni avrebbe un impatto molto maggiore. 

Se una vittoria dei Democratici pare la più probabile, potrebbe verosimilmente condurre a un'ondata di vendite del 5-10% nel mercato azionario statunitense nel periodo precedente al voto – e quindi a una compressione di 1-2 punti in termini di rapporti prezzo/utile (P/E). Questi elementi iniziano già a vedersi negli ultimi movimenti di mercato,

qualcosa di simile a quanto abbiamo visto prima delle elezioni del 2016. Un simile movimento rifletterebbe l'impatto di potenziali aumenti delle tasse sugli utili societari – stimati fino al 5-10% del livello degli utili per azione previsti per il 2021. 

Un aumento delle tasse per i redditi più alti significherebbe colpire i titoli legati ai beni di consumo voluttuari, mentre tasse più elevate sulle plusvalenze potrebbero ridurre l'attrattiva delle azioni, facendo salire i premi di rischio azionario – la richiesta di extra rendimento degli investitori per il rischio di detenere azioni invece che obbligazioni. I titoli small cap, le azioni di società domestiche e i settori delle infrastrutture dovrebbero dare risultati particolarmente positivi, con una probabile rotazione settoriale e di stile verso i fanalini di coda tra titoli value e ciclici. 

Per quanto riguarda la tassazione delle imprese, i titoli legati alle utility e alle comunicazioni saranno probabilmente i più colpiti, così come potrebbero esserlo anche le società tecnologiche. I buyback sarebbero ridotti – costituivano l'uso principale della riserva di liquidità prodotta dai tagli delle tasse operati da Trump e sono destinati ad affrontare ostacoli normativi più seri.

Si darà probabilmente più spazio ai programmi ACA e Medicare, per arrivare a un maggiore accesso ai farmaci e quindi a maggiori ricavi per le case farmaceutiche, anche se ciò non aumenterà la redditività. 

È probabile che il dollaro si rafforzi, dato che il capitale viene richiamato all’interno degli Stati Uniti, soprattutto se la crescita oltreoceano non si riprende su base relativa. L’oro, per contro, potrebbe indebolirsi. La spesa fiscale pro-ciclica dovrebbe condurre a un aumento dell’offerta di obbligazioni di Stato statunitensi. I Treasury a lungo termine sarebbero penalizzati dall’irripidimento della curva dei rendimenti e da livelli più alti dell’inflazione breakeven, ma l’irripidimento sarebbe probabilmente modesto, dato il sostegno della Fed e il QE in corso.

Una vittoria del Repubblicani, per contro, rafforzerebbe le attuali attese sugli utili societari. I multipli azionari potrebbero ricevere una spinta dalla semplificazione della normativa e i riacquisti di azioni proprie potrebbero proseguire indisturbati. Tuttavia, l’imprevedibilità delle politiche commerciali dell’amministrazione Trump e un’intensificazione di misure del tipo “America first” come il re-shoring, peserebbero sui premi di rischio azionario. Potremmo quindi assistere a un iniziale rally di mercato, che potrebbe però non essere sostenibile. 

Le posizioni politiche dei Repubblicani favoriscono nel complesso le azioni di società attive negli Stati Uniti rispetto alle multinazionali che lavorano in settori strategici con filiere produttive e basi di ricavo globali.

Le società elettriche e di telecomunicazioni tradizionali beneficerebbero di un quadro normativo meno stringente, mentre i settori relativi alla difesa e alle infrastrutture sarebbero avvantaggiati dall'espansione fiscale. La sovraperformance dei titoli sanitari potrebbe essere di breve durata, prima che il governo si occupi dei prezzi dei prodotti farmaceutici.

Il destino del dollaro sarebbe incerto. Mentre Trump ha una politica dichiarata in favore di una valuta debole, la rilocalizzazione delle filiere produttive sul suolo nazionale e lo stimolo fiscale sarebbero di ostacolo per il biglietto verde. Le continue tensioni geopolitiche favorirebbero l’oro, anche se l’impatto sarebbe modesto a fronte di tassi reali più elevati (simili a quelli visti nel periodo 2017-18).

Le prospettive per i mercati emergenti potrebbero essere negative, anche se nel medio termine la Cina potrebbe intravedere l'opportunità di sviluppare i suoi mercati dei capitali e le sue infrastrutture tecnologiche, nonché un ruolo strategico tra gli altri Paesi dei mercati emergenti.

Fig. 3 - Opportunità commerciali
Implicazioni per i mercati legate ai risultati delle elezioni 2020
Fonte: PredictIt.org, Pictet Asset Management *Al 20 settembre 2020. Calcolate in base ai pronostici di PredictIt. Entrambi gli scenari di congresso spaccato = D Camera R Senato.

Attenzione alle controversie

Indubbiamente, lo scenario peggiore per i mercati nel breve termine sarebbe un’elezione controversa. Un maggior affidamento al voto per posta potrebbe comportare ritardi nell’ottenimento dei risultati in alcuni Stati chiave. Inoltre, ogni candidato potrebbe contestare le elezioni qualora il risultato non indicasse una chiara maggioranza. Se ciò dovesse succedere, ritarderebbe ulteriormente qualsiasi scarno stimolo post-elettorale e, nello scenario peggiore possibile, potrebbe condurre a proteste popolari. 

L’analogia migliore è quella con le elezioni del 2000 tra George W. Bush e Al Gore, in cui i mercati hanno perso l’8% dal giorno delle elezioni al minimo dei mercati, nel periodo di un mese necessario per avere il risultato definitivo. Riteniamo, tuttavia, che questa volta una simile ondata di vendite (anche se in un periodo più lungo di tempo di stallo delle elezioni) dovrebbe dimostrarsi di breve durata, in quanto l’eventuale risultato sarebbe con ogni probabilità un governo diviso e favorevole ai mercati.