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Una delle conseguenze più significative dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 è certamente l’aver diffuso una nuova organizzazione del lavoro. Costretti dall’emergenza, in tanti hanno scoperto due parole: “smart working”, in italiano “lavoro agile”. E se quello sperimentato in questi mesi più che lavoro “smart” si è rivelato in realtà “home working”, cioè lavoro da casa, replicando di fatto orari e dinamiche d’ufficio, già si sta dibattendo su come rendere davvero agile e flessibile il lavoro a distanza, che sembra essere destinato a rimanere – magari in forma alternata con il lavoro in presenza – nella nostra quotidianità lavorativa.
Un’organizzazione del lavoro fondata sul raggiungimento degli obiettivi, con tempi e luoghi flessibili, in un clima aziendale di reciproca fiducia e responsabilità, comporta infatti benefici non solo per le aziende ma anche per l’ambiente. Vediamo quali.
Prima precisazione: il lavoro da casa non è sinonimo di improduttività. Anzi. Nelle aziende che lo avevano sperimentato nell’era pre-COVID, si è spesso rivelato un notevole volano di produttività, con un incremento del senso di responsabilità del lavoratore, in grado di organizzare meglio tempi ed efficienza delle prestazioni. Non ultimo, per l’azienda c’è anche un notevole risparmio di costi, in quanto l’eliminazione delle postazioni fisse di lavoro e la creazione di postazioni a rotazione consente una riduzione degli spazi fisici aziendali. Una survey di Minsait ha dimostrato come il 72% dei professionisti interpellati afferma di aver aumentato la propria produttività grazie allo smart working.
Secondo i dati dell’Osservatorio Smart Working del politecnico di Milano riferiti al 2019, tra i principali motivi per cui si adotta il lavoro agile, spiccano il miglioramento del work-life balance dei lavoratori (indicato dal 78% delle grandi imprese e delle PA), seguito dall’engagement e dalla capacità di attrarre talenti (indicato dal 59% delle grandi imprese, 9% delle PMI e 10% delle PA). Contano anche il benessere organizzativo (46% per le grandi imprese, 50% per le PMI e 71% per le PA) e, come anticipato, la produttività/qualità del lavoro (44% per le grandi imprese, 12% per le PMI e 62% per le PA).
Dai risultati della ricerca emerge che i lavoratori smart mediamente presentano un grado di soddisfazione e coinvolgimento nel proprio lavoro molto più elevato di coloro che lavorano in modalità tradizionale: il 76% si dice soddisfatto della sua professione, contro il 55% degli altri dipendenti.
Senza dimenticare i benefici che il mancato obbligo di spostarsi ogni giorno da casa in ufficio comporta sullo stato di salute dell’ambiente, in termini di risparmio energetico, inquinamento dell’aria e inquinamento acustico.
L’Enea, Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, ha calcolato che lo smart working è in grado di ridurre la mobilità quotidiana di circa un’ora e mezza in media a persona, per un totale di 46 milioni di chilometri evitati. Una riduzione che comporta un risparmio di 4 milioni di euro di mancato acquisto di carburante, pari a un abbattimento di 8mila tonnellate di emissioni di CO2.
Prima dell’emergenza epidemiologica, lo studio “Added Value of Flexible Working” commissionato da Regus a Development Economics e condotto su 16 Paesi, calcolava che a livello mondiale il lavoro agile è in grado di ridurre i livelli di anidride carbonica di 214 milioni di tonnellate l’anno entro il 2030, pari alla CO2 sottratta dall’atmosfera da 5,5 miliardi di alberi in dieci anni.
Con l’aggiunta di un notevole risparmio di tempo, che incide sul benessere del lavoratore e delle aziende. Secondo lo studio, un impiego sempre più diffuso di spazi di lavoro flessibile consentirebbe entro il 2030 il risparmio di oltre 3,53 miliardi di ore impiegate ogni anno per raggiungere il posto di lavoro. L’equivalente del tempo passato al lavoro annualmente da 2,01 miliardi di persone.
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