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Oggi, sette delle dieci aziende più grandi al mondo per capitalizzazione di mercato sono essenzialmente piattaforme online: ecosistemi digitali attraverso i quali individui e gruppi si connettono o organizzano servizi. La loro influenza è tale da aver scosso le fondamenta dei modelli di business dell’industria e alterato le norme culturali sulla condivisione e la proprietà.
Ma sebbene queste piattaforme siano arrivate a definire il business dominante, i grandi player sono sempre più esposti alle critiche sull’equità dei loro modelli e sul trattamento dei loro lavoratori. In risposta, sono emerse numerose piattaforme cooperative innovative, supportate in alcuni casi da governi o organizzazioni non governative, che esplorano sistemi completamente nuovi per connettere persone e lavoro. Oltre che un nuovo rapporto tra consumo e proprietà.
Quella della cooperativa è un’idea antica, nata come associazione che mira a soddisfare bisogni economici e sociali comuni. Possono essere grandi, come la francese Enercoop, che fornisce elettricità a livello nazionale, o piccole e locali. Ma, al di là della dimensione, sono caratterizzate tutte dalla comune proprietà e dal controllo democratico. Le “cooperative di piattaforma” portano online questo stesso spirito originario delle cooperative.
Trebor Scholz, attivista e professore di cultura e media alla New School di New York, stima che l’ecosistema delle piattaforme cooperative al momento comprenda circa 240 progetti, con iniziative in tutto il mondo.
Possedute e controllate democraticamente dai loro lavoratori, le cooperative digitali sono progettate in parallelo alle esigenze, capacità e aspirazioni degli utenti e sono spesso impegnate nello sviluppo open source, in modo che altri possano utilizzare il loro codice e diffondere l’idea della cooperativa.
Esistono cooperative di piattaforme online di successo in tutti i mercati e aree geografiche. Come Resonate per lo streaming musicale (Germania), Up & Go per le pulizie domestiche (New York City) e SMart nei servizi di supporto per lavoratori freelance e indipendenti (in tutta Europa). Molte di queste hanno anche attirato l’attenzione degli investitori, considerata anche la crescita repentina di alcune. Stocksy, ad esempio, una cooperativa che offre stock di foto e video fondata nel 2012, ha cominciato a fare profitti già alla fine del suo primo anno di vita e oggi ha tra i suoi clienti 100 delle aziende che compaiono nella top 500 di Fortune.
Ma ci sono ancora molte potenziali applicazioni ancora da realizzare. “Immagina un social network di proprietà di gruppi di utenti o un servizio cloud di proprietà cooperativa”, dice Scholz, immaginando questi strumenti non solo come un modello organizzativo alternativo, ma anche come un movimento per consentire a individui e gruppi spesso emarginati di assumere un maggiore protagonismo anche in politica. “I raccoglitori di rifiuti e i riciclatori nell’economia informale in Brasile ed Egitto potrebbero utilizzare una piattaforma cooperativa per organizzare i ritiri e allo stesso tempo sfruttarla per ottenere una voce politica”, dice. “Un gruppo di professionisti dell’assistenza all’infanzia in Illinois potrebbe utilizzare una piattaforma cooperativa non solo per aumentare il proprio potere commerciale, ad esempio con acquisti collettivi, ma anche per coordinare la partecipazione politica”.
Ma online sta cambiando anche il rapporto tra proprietà e consumo. In passato, se i consumatori avessero voluto utilizzare beni o servizi avrebbero dovuto acquistarli. Oggi, grazie alle piattaforme online, possono utilizzare gli articoli per la casa, le fotocamere, le automobili, i giardini per il campeggio o i vialetti per il parcheggio di altre persone, senza esserne proprietari.
“Penso che la condivisione peer-to-peer offrirà un’offerta e un’attività aggiuntiva sostanziale nella maggior parte dei mercati in cui hai a che fare con un asset di valore più alto”, afferma Richard Laughton, presidente di Sharing Economy UK. “Abbiamo visto la condivisione svilupparsi più rapidamente nei settori in cui il valore dell’asset sottostante è relativamente alto, come le automobili e le case. Un’attività come Fat Llama, ad esempio, consente alle persone di noleggiare una varietà di articoli per la casa, ma ha trovato una nicchia particolare nell’attrezzatura fotografica di fascia alta, che rappresenta un grande esborso di capitale per un individuo. Se stai acquistando una fotocamera costosa ma la utilizzerai solo per poche settimane all’anno, ha senso monetizzarla”.
Sebbene Laughton non ritenga che la condivisione peer-to-peer possa diventare un tipo di offerta dominante per la maggior parte dei mercati, ritiene però che l’esperienza della condivisione potrebbe cambiare le norme culturali nel tempo: “Uno dei fattori chiave per le persone che utilizzano piattaforme di sharing economy è costruire un senso di fiducia con gli altri sulla piattaforma. Quindi, acquisendo quel livello di fiducia, le persone potrebbero diventare più disposte a condividere le cose a livello locale”.
Non è difficile immaginare un’economia in cui gli articoli di consumo siano suddivisi in due tipologie distinte: quelli che le persone preferiscono possedere e quelli che preferiscono condividere. Negli Stati Uniti, il 52% dei consumatori si sta già chiedendo se sia necessario acquistare un’auto. In India, questo numero raggiunge il 61%.
Queste tendenze potrebbero dare ai produttori un incentivo più forte a rendere i loro prodotti più durevoli e di facile condivisione. Potrebbe emergere inoltre anche una nuova concorrenza sulla tracciabilità dei dispositivi progettati per la condivisione, con oggetti abilitati per la Internet of Things che facilitino la condivisione in un’area locale, tracciabile tramite una piattaforma online.
Per ora si tratta di tendenze. Ma le piattaforme online hanno già impresso grandi cambiamenti nell’economia. E questi potrebbero essere quelli successivi.
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