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Il legame tra biodiversità e investimenti è sempre più stretto. La tutela della varietà di animali, piante e dei loro ecosistemi è infatti il grande trend emergente all'interno dei criteri ESG (ambientali, sociali e di governance). Da tempo, ormai, i fondamentali finanziari non sono l'unico fattore da valutare quando si sceglie di investire. Il motivo non è solo etico: puntare su un asset sostenibile vuol dire farlo in settori con rischi minori e grandi prospettive di crescita.
Le Nazioni Unite hanno dedicato alla biodiversità una giornata mondiale a partire dal 1993. In un primo momento è stata fissata il 29 dicembre. L’ONU ha poi modificato la data, anche perché ha ritenuto complicato un'adeguata promozione in un periodo (quello tra Natale e Capodanno) nel quale l'attenzione dei consumatori è rivolta altrove. Dal 2000, quindi, la giornata internazionale è stata spostata al 22 maggio, nell'anniversario della Convenzione per la Diversità Biologica, firmata nel 1992.
L'ONU ha incluso la protezione della biodiversità tra i suoi “obiettivi sostenibili”, da centrare entro il 2030. Anche l'Ue ha elaborato una “Strategia sulla biodiversità”: “La biodiversità – spiega la Commissione europea - è essenziale per la vita. La natura ci garantisce cibo, salute e medicinali, materie prime, attività per il tempo libero e benessere. Un ecosistema sano filtra l'aria e l'acqua, contribuisce all'equilibrio climatico, trasforma i rifiuti in nuove risorse, impollina e fertilizza le colture, solo per citare alcuni esempi”.
Le parole della Commissione fanno già intuire quale sia il legame tra biodiversità e investimenti. All'interno del più ampio panorama ESG, buona parte dell'attenzione si è concentrata sul settore energetico e sulla riduzione delle emissioni nocive. Ma la tutela delle specie e del loro ecosistema sta emergendo con forza, spingendo diversi osservatori a ipotizzare che in futuro le aziende pubblicheranno “Report sulla biodiversità” accanto agli ormai molto diffusi bilanci di sostenibilità.
Misurare l'impatto di un'impresa sulla flora e sulla fauna ha un legame diretto con le emissioni. Ma non solo. Settori come agricoltura, energia e food avrebbero ripercussioni negative dalla perdita di biodiversità: la sostenibilità (anche finanziaria) di un'impresa è infatti dipendente dall'equilibrio degli ecosistemi, soprattutto nel lungo periodo.
C'è poi un altro fattore: le scelte di consumo sempre più consapevoli. I potenziali clienti acquistano prodotti e servizi anche in base al rispetto ambientale. Allo stesso modo, sempre più investitori e risparmiatori tendono a escludere dal proprio portafogli titoli di società che hanno in impatto negativo sul pianeta. Vale già oggi per le emissioni, varrà sempre di più anche per la biodiversità.
La riduzione delle emissioni si è imposta come l'elemento nodale di un bilancio di sostenibilità per almeno due motivi. Il primo sta nella grande attenzione (sia delle istituzioni che della società civile) dedicata ai gas serra. Il secondo è più pragmatico: le emissioni sono misurabili. Ecco qual è la sfida che nei prossimi anni attende la tutela della biodiversità.
Serve una metodologia di calcolo affidabile e quanto più possibile condivisa per valutare l'impatto delle imprese sulla biodiversità e – da un punto di vista finanziario – i rischi a esso legati. In questa direzione si sta muovendo anche l'ONU, che all'interno dello UN Environment Programme World Conservation Monitoring Centre sta lavorando a Encore (Exploring Natural Capital Opportunities, Risks and Exposure), uno strumento online che aiuta le istituzioni finanziarie a misurare i rischi “naturali” e - di conseguenza – a modificare la composizione del proprio portafogli.
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