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Quando la necessità si trasforma in opportunità: l'economia circolare si sta facendo strada, uscendo dagli ambiti esclusivamente “green” per abbracciare ogni ambito economico e sociale. La Fondazione Ellen MacArthur ha definito l'economia circolare come un sistema pensato per rigenerarsi da sé. Un processo che non può essere applicato ex-post ai sistemi produttivi attuali ma coinvolte “tutto e tutti”: “Imprese, governi, individui, città, prodotti e lavoro”.
Il paradigma classico è detto “lineare”. L'economia consuma e produce per vendere. Al termine di questo percorso, l'unico risultato è un “rifiuto”. L'economia circolare ha nel riciclo e nel riutilizzo le sue parole d'ordine, ma sarebbe sbagliato pensare che si tratti solo di “recupero”. Il nuovo approccio deve essere “Cradle to Cradle”, cioè “dalla culla alla culla”. Un'espressione che sottolinea come la circolarità debba guidare ogni ambito: design, produzione, uso. Riutilizzo e riciclo sono efficienti se i beni sono progettati per essere riutilizzati e riciclati. La necessità è, prima di tutto, ambientale. Il paradigma lineare ha dimostrato di non essere sostenibile: le risorse del pianeta sono finite e, come tali, richiedono una gestione più oculata, soprattutto se la conferma dei trend demografici porterà la Terra ad affollarsi sempre di più. Sembra ormai emergere con chiarezza la convinzione che l'umanità non abbia alternative all'economia circolare. La strada da fare, però, è ancora molto lunga. Secondo il Circularity Gap Report, solo il 9% dei 92,8 miliardi di tonnellate di minerali, combustibili fossili, metalli e biomassa che entrano nell’economia viene riutilizzato attraverso politiche di riciclo e riutilizzo. E, a conferma che il problema riguarda l'intera filiera, il rapporto sottolinea che il 62% delle emissioni di gas serra globale arrivi dalla fase di estrazione, la lavorazione e la produzione e il 38% da consegna e uso.
La trasformazione culturale è anche economica. A lungo, infatti, si è vissuta la sostenibilità come un intralcio alla crescita. I dati hanno certificato che non è affatto così. Anzi, l'economia circolare diventa un'opportunità, perché ridurre gli sprechi significa meno costi e aprire nuovi business. Secondo il rapporto Agi-Censis sull'economia circolare, “fino ai primi anni della crisi economica la curva del PIL e quella del consumo interno di materiali per le attività produttive e civili si muovevano parallelamente”. La crescita andava di pari passo con il consumo (e spesso con lo spreco). “Con gli anni della crisi – prosegue lo studio - si registra in Europa una potente divaricazione tra le due curve determinata dalla capacità dell’economia europea di riprendere a produrre valore aggiunto riducendo il consumo complessivo di materiali”. Cala lo spreco, non rallenta la crescita. Se la crisi del 2008-2009 ha avuto un effetto collaterale positivo, è stato quello di aver “estromesso dal mercato le imprese meno efficienti”. Di fatto accelerando la transizione. L'Italia è ben posizionata. Il rapporto tra PIL e DMC (Domestic material consumption, definito come la somma di tutte le materie prime estratte all’interno del territorio nazionale più tutte le materie importate meno tutte le materie esportate) è infatti di 3,34 euro/kg, contro un valore medio europeo di 2,2 euro/kg. L'Italia, quindi, consuma poco rispetto al Prodotto interno lordo. I dati economici, oltre a quelli ambientali, sono decisivi perché dimostrano come economia circolare voglia dire trasformare lo spreco in valore (materiale e finanziario).
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