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Economia e finanza

Pictet Fiver: i cinque fatti economici di Dicembre 2019

Dicembre 2019

I cinque principali fatti di economia e finanza del mese raccontati in breve.

La prima volta di Christine Lagarde alla BCE, il bazooka della Fed, ma anche la maxi-quotazione di Saudi Aramco, l’esito delle elezioni in Gran Bretagna e la tregua sulla guerra commerciale tra Usa e Cina. Ecco i cinque principali fatti economici del mese di dicembre.

L'eredità di Draghi alla BCE

La Banca centrale europea ha mantenuto invariati i principali tassi: in particolare restano a zero i tassi di interesse e a -0,50% i tassi sui depositi bancari presso l’Eurotower. Come in passato, il Consiglio direttivo guidato da Christine Lagarde, che ha presieduto la sua prima riunione di politica monetaria, si aspetta che i principali tassi d’interesse restino ai livelli attuali o inferiori fino a quando non avrà visto le prospettive d’inflazione «convergere vigorosamente» verso un livello sufficientemente vicino al 2% nelle sue proiezioni. Intanto, dal 1° novembre la BCE ha ripreso gli acquisti netti nell’ambito del programma di Quantitative Easing (QE), annunciato da Mario Draghi a settembre, ad un ritmo mensile di 20 miliardi di euro. Gli acquisti dureranno «per tutto il tempo necessario a rafforzare l’impatto accomodante» dei tassi di riferimento. E termineranno, secondo le attese del Consiglio direttivo, poco prima che la BCE inizierà ad aumentare i principali tassi di interesse.

Il bazooka della Federal Reserve

La banca centrale americana a dicembre ha lasciato i tassi fermi tra l’1,5% e l’1,75%. La Fed ha ritenuto l’attuale politica monetaria «appropriata a sostenere l’espansione dell'attività economica, un mercato del lavoro solido e un’inflazione vicino all’obiettivo del 2%». Ma a sole 24 ore dalla conferenza stampa seguita al board mensile, il governatore Jerome Powell ha poi annunciato che nel prossimo mese saranno iniettati 500 miliardi di liquidità attraverso aste repo e term, a cui andranno a sommarsi gli acquisti mensili del QE. La decisione sarebbe derivata dalla paura che le scadenze di fine anno avrebbero potuto scatenare una crisi sul mercato del finanziamento interbancario.

La Ipo di Saudi Aramco

Debutto record alla Borsa saudita per il gruppo petrolifero Saudi Aramco. Il giorno dopo l’ammissione alle contrattazioni il prezzo del titolo è scattato a 10,32 dollari portando la sua valutazione di mercato a quota 2.000 miliardi di dollari. Aramco ha così superato di quasi 1.000 miliardi il valore di colossi come Apple e Microsoft. E con questa maxi-quotazione la Borsa saudita si inserisce tra i primi dieci mercati del mondo. L’Ipo di Aramco ha anche battuto il precedente record registrato nel 2014, quando il gruppo dell’e-commerce cinese Alibaba era sbarcato a Wall Street raccogliendo 25 miliardi di dollari. Nei piani della famiglia reale saudita l’operazione deve finanziare un ampio piano di riforme in grado di diversificare l’economia saudita finora in gran parte dipendente dall’esportazione di petrolio.

E ora la Brexit

I conservatori del premier britannico Boris Johnson hanno una maggioranza schiacciante alle elezioni in Gran Bretagna, la terza consultazione in meno di cinque anni, che è apparsa sin da subito una sorta di referendum sulla Brexit. Il Regno Unito ha votato quindi per uscire dall’Ue. E il premier accelera per il divorzio. Sul mercato valutario, dopo il risultato elettorale la sterlina ha letteralmente spiccato il volo contro le principali valute, beneficiando di un quadro più certo dell'ultimo periodo.

La tregua armata dei dazi

Pechino e Washington hanno annunciato un nuovo accordo che evita, almeno per il momento, una nuova escalation sui dazi commerciali. Ma le incertezze restano: l'intesa preliminare – se verrà siglata, come previsto, ai primi di gennaio – blocca i nuovi aumenti tariffari del 15%, che sarebbero entrati in vigore già a dicembre su 156 miliardi di dollari di beni cinesi. Dazi che andrebbero ad incidere soprattutto sui prezzi finali dei prodotti tecnologici, tra cui smartphone, laptop e giocattoli. Resteranno in vigore gli aumenti tariffari del 25% su 250 miliardi di dollari di beni cinesi, tra cui materie plastiche, prodotti chimici e macchinari. I termini dell'accordo provvisorio, tuttavia, sono vaghi.