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Le ultime stime del Fondo monetario internazionale (FMI) vedono la crescita mondiale in miglioramento, con il PIL globale in crescita del 6% nel 2021, in rialzo dello 0,5% rispetto alle stime di gennaio. Questa stima nasconde però delle differenze importanti: i Paesi avanzati cresceranno del 5,1%, trainati dagli Stati Uniti (+6,4%); mentre i Paesi emergenti cresceranno del 6,7%, ma solo grazie alle performance della Cina (+8,4%) e dell’India (+12,5%).
L’Africa Sub-sahariana crescerà solo del 3,4%, l’America Latina del 4,6% e l’Europa emergente del 4,4%. Secondo le stime del Fondo, l’unico Paese al mondo in cui nel medio periodo il livello stimato del PIL sarà superiore alle stime pre-COVID sono gli Stati Uniti. Mentre nelle economie emergenti la perdita totale di ricchezza rispetto alle stime pre-COVID sarà del 4-8% del PIL, con Asia e America Latina tra le più colpite.
Con l’aumento dei contagi da COVID-19, il rischio di lockdown prolungati aumenta in molti Paesi emergenti. Il ritmo delle campagne vaccinali è aumentato in diversi Stati, ma i progressi non sono abbastanza rapidi. Secondo il rapporto di S&P Global Ratings “Emerging Markets Monthly Highlights: Can The Economic Recovery Withstand The New Wave?”, i sistemi sanitari pubblici in diversi Paesi sono al limite o vicini alla saturazione.
La differenza principale sta nelle campagne vaccinali. Grazie agli accordi presi con le multinazionali farmaceutiche, molti Paesi sviluppati raggiungeranno l’immunità di gregge e riapriranno le loro economie quando alcuni Paesi emergenti staranno solo cominciando a vaccinare su larga scala. Questo comporterà che i Paesi emergenti continueranno a soffrire degli effetti della pandemia ben più a lungo degli altri.
Se da un lato l’economia cinese marcia speditamente (il PIL a +18,3% nel primo trimestre), sostenuta dalla produzione industriale e dalle esportazioni, quella americana è trainata invece dai consumi e per soddisfarli si rivolge ai beni importati, principalmente dalla Cina. Una domanda destinata, tra l’altro, ad aumentare con il nuovo piano fiscale di Joe Biden e con l’impiego della liquidità accumulata negli ultimi mesi.
Il commercio globale giocherà probabilmente un ruolo fondamentale anche nella ripresa post-COVID. Portando benefici alle economie dei Paesi emergenti, da sempre legate alla dinamica del commercio internazionale. Senza dimenticare che alcuni Stati in via di sviluppo, soprattutto asiatici, sono stati capaci di gestire meglio la pandemia e le loro economie ne stanno beneficiando.
Nel 2020 i mercati emergenti sono arrivati a contribuire per il 50% al PIL globale e questa percentuale potrebbe crescere fino al 57% entro il 2030, secondo le stime di Pictet AM. Già oggi nell’area emergente vive l’84% della popolazione mondiale e viene realizzato il 53% dei profitti aziendali.
Ma se il sorpasso sul piano economico è ormai prossimo, non si può dire lo stesso sul piano finanziario. Gli strumenti di investimento dei mercati emergenti hanno un alto potenziale di rendimento, ma sono soggetti spesso a brusche correzioni, che tendono a scoraggiare gli investitori.
Un altro elemento da considerare è la grande dispersione di performance tra i mercati emergenti: negli ultimi dieci anni, tra le asset class che hanno fatto meglio e quelle che hanno fatto peggio c’è stata una differenza media del 30%, con picchi del 50-60%. Questo anche a causa dell'ampia varietà di attività finanziarie, spesso non correlate tra di loro.
Se la ripresa dei mercati emergenti sarà definita dal bipolarismo Cina - USA, uno dei rischi principali però potrebbe essere la stretta delle condizioni finanziarie cinesi più rapida del previsto, che limiterebbe le ricadute positive della Cina sul resto dei Paesi emergenti.
Altro rischio è il rafforzamento del dollaro americano. Va tenuto in considerazione che, in ogni caso, una crescita sostenuta dell’economia americana resta uno stimolo per la crescita globale e per il sentiment degli investitori. Ma è anche vero che le economie emergenti sono oggi meno legate agli Stati Uniti rispetto al passato.
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