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La Nuova Via della Seta: il progetto cinese e i dubbi europei

Settembre 2019

Già da anni Pechino lavora per espandere la propria influenza nelle rotte commerciali con Europa e Africa. Il caso di Atene dimostra le opportunità economiche ma alcuni Paesi europei hanno mostrato perplessità.

Sono la seconda economia del pianeta ed è normale che la lente di ingrandimento di tutto il mondo sia puntata stabilmente sulla Cina, dagli Usa all’Europa, fino al loro vicino indiano. È vero, la crescita del colosso asiatico sta rallentando e più di un osservatore inizia a parlare di possibile recessione all’orizzonte, di invecchiamento della popolazione, di bassa redditività delle imprese cinesi. Ma il loro piano di investimenti nel Vecchio Continente è difficile da ignorare.

La Nuova Via della Seta

L’attenzione data dalla Cina all’Europa è stata confermata anche dalla visita del presidente Xi Jinping, che intende rilanciare la Nuova Via della Seta. Il progetto avviato già nel 2013 si chiama “One Belt, One Road” e intende dare un ruolo centrale a Pechino nei commerci planetari mettendo in collegamento l’Asia con l’Africa e l’Europa. Il vero obiettivo di questa strategia sarebbe ovviamente il posizionamento della Repubblica Popolare al centro degli scenari geopolitici ed economici mondiali grazie a nuovi collegamenti terrestri e marittimi e a nuove e moderne infrastrutture. Le direttrici di questo piano sarebbero due: la prima partirebbe dalla Cina ovest per toccare Asia Centrale e Medio Oriente e arrivare al Nord Europa, mentre la seconda collegherebbe via mare le coste cinesi con il Mediterraneo, ovviamente attraversando l’Oceano Indiano. 

Un piano da quasi mille miliardi di dollari di investimenti

Il progetto è mastodontico: minimo 900 miliardi di dollari per coinvolgere 65 Paesi che valgono il 40% del Pil mondiale e che ospitano il 65% della popolazione della Terra. Per quanto riguarda il collegamento ferroviario e stradale verrebbero impattati Paesi come Russia, Polonia e Repubbliche baltiche, mentre via mare impatterebbe sui principali porti di Spagna, Portogallo, Francia, Italia, Grecia, Turchia, dei Balcani e delle Repubbliche del Nord. Non dimentichiamo poi che i porti vedono attraversare oltre il 70% delle merci che attraversano le frontiere europee (circa 1.700 miliardi di euro ogni anno) e impiegano un milione e mezzo di persone. Un asset fondamentale per un partner vorace come la Cina. 

Investimenti cinesi nei porti europei: l'esempio della Grecia

Attraverso il Fondo della Via della Seta e sfruttando società private e aziende pubbliche, Pechino ha acquistato partecipazioni di 8 porti europei tra Paesi Bassi e in Belgio, Spagna, Francia, Italia e Grecia. Già nel 2008 per esempio la China Ocean Shipping Company (Cosco) ha investito 4,3 miliardi di dollari per avere la gestione per 35 anni di due terminal del porto di Atene. Successivamente si è ampliata fino a diventare azionista di maggioranza dell’Autorità portuale del Pireo. Non a caso, nel giro di 6 anni i volumi di transito, grazie anche ad investimenti mirati per ampliare lo scalo, sono cresciuti di più del 300%. 

Le perplessità di Francia e Germania

Parigi e Berlino non hanno nascosto qualche dubbio riguardo a questa espansione industriale con la regia del governo cinese. Il presidente francese Emmanuel Macron, parlando della Nuova via della Seta, ha affermato che le nuove “strade non possono essere quelle di una nuova egemonia e non possono essere a senso unico”. Anche la Cancelliera tedesca Angela Merkel ha osservato che probabilmente questi affari economici nascondono qualcosa di più e che possono sfociare nel territorio degli equilibri geopolitici. Insomma, la Cina non smette mai di dividere.