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Italia-Cina-Usa: come cambiano i rapporti con la nuova Via della seta

Aprile 2019

L'Italia è stato il primo Paese del G7 a siglare accordi che fanno capo alla Belt and Road Initiative. Un importante passo commerciale ma anche geopolitico.

Gli accordi firmati da Italia e Cina sulla nuova via della Seta, la Belt and Road Initiative (Bri), non hanno solo un significato economico ma anche (soprattutto per Pechino e Washington) politico. L'Italia è infatti stata il primo Paese del G7 a entrare ufficialmente nel progetto. Per Xi Jimping è quindi anche un successo diplomatico. Mentre, da questo punto di vista, è una sconfitta per Donald Trump.

Perché la Bri è importante

Per capire perché la Bri non è un semplice insieme di accordi bilaterali, è necessario comprendere la portata del piano: nel suo complesso è probabilmente il progetto di infrastrutture e investimenti più grande di sempre. Non è quindi, come potrebbe far intendere il nome, una sola “via”, ma un insieme di sentieri, fisici (con il coinvolgimento di porti e infrastrutture) e finanziari, che puntano a stringere i rapporti tra Asia, Europa e Africa. Un progetto così ampio e ricco ha quindi il potere (e l'obiettivo) di spostare il baricentro degli equilibri globali verso est. Una mossa che non può certo piacere agli Stati Uniti. Washington continuerà a guardare con sospetto a Pechino anche nel caso di pacificazione sui dazi, che rappresentano solo un sintomo di uno scontro più ampio.   

Gli accordi con l'Italia

Che la Bri non sia solo una “via” si capisce dalla lista degli accordi firmati con l'Italia: dieci sono “aziendali” e 19 “istituzionali”. Tra i primi, c'è l'intesa siglata da Cassa depositi e prestiti e Bank of China per finanziare imprese italiane in Cina e quelle di Eni, Ansaldo, Snam e Danieli. Hanno trovato posto anche gli accordi, sgraditi agli Stati Uniti, con i porti di Trieste e Genova. I memorandum istituzionali riguardano, tra le altre cose, il settore tecnologico (con la collaborazione tra imprese innovative), spaziale (con il coinvolgimento dell'Asi), agroalimentare (su arance, carne suina e seme di bovino) e culturale (con l'impegno a collaborazione contro il traffico di beni archeologici, la restituzione di 796 reperti alla Cina e la promozione congiunta di siti Unesco). 

Gli equilibri tra Washington e Pechino

Per al Cina è una vittoria certa. Per la portata economica degli accordi ma anche per il significato geopolitico che assume il coinvolgimento di un Paese G7. Pechino ha speso parole positive sul “rafforzamento della cooperazione e dei benefici reciproci” e sulle “eccellenti Pmi” italiane. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha definito l'intesa “un'opportunità per il Paese e per la Ue”. Critici invece sono gli Stati Uniti. Il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, si è detto “deluso” dopo la firma, definendo gli accordi “non chiari” e temendo che a rimetterci saranno i cittadini dei Paesi che stringono la mano a Pechino. La Cina ha replicato parlando di accuse “inventate e ingiuste”, di “campagna diffamatoria” non legata alla sostanza degli accordi ma “motivata politicamente”.