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La pandemia si fa ancora sentire. Ma anche se la ripresa è – in molti Paesi – più lenta del previsto, c'è una parola che dall'inizio dell'anno agita i mercati: inflazione. Da una parte, infatti, i governi stanno elargendo enormi risorse per tamponare gli effetti del COVID-19 sull'economia. Dall'altra, le Banche Centrali continuano a erogare liquidità.
La combinazione di queste due spinte potrebbe portare a una ripresa troppo rapida. “Troppo” perché spingerebbe la corsa dei prezzi, condizionando (oltre che il potere d'acquisto delle famiglie) la politica monetaria e i mercati. In caso di inflazione eccessiva, infatti, le Banche Centrali sarebbero costrette a rialzare i tassi, oggi ai minimi storici. Il mercato obbligazionario, al momento poco appetibile per chi cerca ritorni corposi, rientrerebbe nei radar dei gestori, che così dirotterebbero parte di quelle risorse che oggi nutrono l'azionario. Le borse potrebbero pagare.
È un pericolo concreto? Secondo gli ultimi dati OCSE, relativi al mese di febbraio, l'inflazione anno su anno ha avuto un'accelerazione negli Usa (dall'1,4% di gennaio all'1,7%) e in Germania (dall'1% all'1,3%). Anche in Italia i prezzi si sono mossi al rialzo (dallo 0,4% allo 0,6%) ma con un tasso ancora lontano dai livelli di guardia. L'inflazione, già sotto il punto percentuale, ha rallentato in Francia e Regno Unito.
Nell'intera area OCSE è salita all'1,7%, in leggera accelerazione rispetto al +1,5% di gennaio. La variazione è in buona parte dovuta ai prezzi dell'energia, che hanno registrato un calo molto più netto nel primo mese dell'anno (-3,9%) rispetto al secondo (-0,1%). Escludendo energia e alimentare, infatti, l'inflazione nei Paesi più industrializzati ha avuto un lieve rallentamento (dall'1,7% all'1,6%). Stesso discorso per l'area euro: a febbraio l'inflazione complessiva è rimasta stabile, allo 0,9%. Ma escludendo energia e alimentare è diminuita (dall'1,4% all'1,1%).
Sembra quindi confermarsi la previsione della presidente BCE Christine Lagarde, che dopo il consiglio direttivo dell'11 marzo aveva parlato di un'inflazione spinta da “fattori temporanei come l’aumento dei prezzi energetici”. Per questo motivo l'outlook dell'inflazione era rimasto “invariato”. Cioè all'1,5% nel 2021, all'1,2% nel 2022 e all'1,4% nel 2023. Margini rassicuranti se si pensa che uno degli obiettivi della BCE è mantenere il tasso d'inflazione sotto ma quanto più possibile vicino al 2%. Senza fiammate all'orizzonte, l'Eurotower non vede dunque motivi per rallentare il proprio piano di acquisti né per rialzare i tassi.
La posizione della Fed è stata molto simile a quella della BCE. A marzo la Banca Centrale statunitense ha tenuto i tassi invariati, senza lasciar intravedere cambiamenti di politica monetaria.
La ripresa in accelerazione, anche grazie al piano governativo di sostegno all’economia, premerà sui prezzi. Ma il presidente della Fed, Jerome Powell, ha parlato (proprio come Lagarde) di un aumento transitorio. Potrebbe esserci uno sforamento della soglia del 2% ma non dovrebbe essere prolungato.
La prospettiva di un’inflazione allarmante sarebbe quindi lontana. O, perlomeno, non così probabile da convincere la Federal Reserve ad aumentare i tassi o a ridurre l’acquisto di titoli.
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