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Nel dibattito pubblico viene chiamato “Fiscal compact”. Si tratta in realtà del Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance dell’Unione europea, firmato da 25 Paesi il 2 marzo del 2012. Un accordo che prevede vincoli economici comuni con l’obiettivo di contenere il debito pubblico nazionale di ciascun Paese firmatario, garantendo il principio dell’equilibrio di bilancio. Eccolo spiegato in dieci punti.
L’iniziativa del Fiscal Compact nasce negli anni dell’ultima crisi economica, quando i problemi economici di un Paese “debole” dell’Europa determinavano una reazione a catena sugli altri. Era la stagione in cui Mario Draghi pronunciò la famosa frase «Whatever it takes», riferendosi alla necessità di salvare l’euro: faremo qualunque cosa sia utile per raggiungere l’obiettivo.
In Italia, il governo Berlusconi – nel pieno della crisi – perse la sua maggioranza in Parlamento e venne sostituito dal governo tecnico guidato da Mario Monti, con l’obiettivo di far uscire l’Italia dall’emergenza. In questo contesto venne firmato il Fiscal Compact, che comportava la cessione di una fetta della propria sovranità economica all’Ue in modo da stabilire vincoli economici e fiscali comuni. Prima del Fiscal Compact avevano avuto una funzione simile il Trattato di Maastricht e il Patto di stabilità e crescita.
Il Fiscal Compact è stato firmato da tutti i 17 Paesi che allora facevano parte dell’Eurozona, cioè Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna. Dal primo gennaio 2014 si è aggiunta la Lettonia, che lo aveva già firmato. Il trattato è stato anche firmato da altri sette membri dell’Unione europea non appartenenti all’Eurozona, cioè Bulgaria, Danimarca, Lituania, Ungheria, Polonia, Romania, Svezia. Non è stato firmato invece da Gran Bretagna, Croazia e Repubblica Ceca.
Dopo la ratifica del trattato, ogni Paese ha avuto tempo fino al primo gennaio 2014 per introdurre i nuovi vincoli, tra cui quello principale che impone il pareggio di bilancio nella legislazione nazionale.
Il 31 maggio 2012, nella consultazione popolare indetta per l'approvazione del Fiscal Compact, il 60,3% degli elettori irlandesi si è espresso a favore dell’approvazione del vincolo europeo, con un’affluenza alle urne del 50%. L’Irlanda è stato l’unico Stato membro dell’Ue ad aver indetto un referendum per autorizzare il Parlamento a ratificare il trattato.
In Italia il Fiscal Compact è stato votato dal Senato della Repubblica il 12 luglio 2012, dalla Camera il 19 luglio dello stesso anno e promulgato dal presidente della Repubblica il 23 luglio 2012. Il presidente del Consiglio allora era Mario Monti. Il Parlamento lo votò compatto, a eccezione di Lega Nord e Italia dei valori e di qualche astenuto.
Il principio cardine del trattato è quello dell’inserimento del pareggio di bilancio di ciascuno Stato, cioè l’equilibrio tra entrate e uscite, in «disposizioni vincolanti e di natura permanente – preferibilmente costituzionale». In Italia, è stato inserito nella Costituzione con una modifica degli articoli 81, 117 e 119 nell’aprile del 2012.
Il secondo vincolo del trattato è l’obbligo di non superamento della soglia dello 0,5% del deficit strutturale, quindi non collegato alle emergenze, rispetto al Pil. Oltre a questo, è previsto l’obbligo, già contenuto nel trattato di Maastricht, di mantenere al massimo al 3% il rapporto tra deficit e Pil.
Per i Paesi con un rapporto tra debito e Pil superiore al 60 per cento previsto da Maastricht, il Fiscal Compact prevede l’obbligo di ridurre il rapporto di almeno un ventesimo all’anno per raggiungere il 60 per cento, pena sanzioni. Ogni Stato si impegna inoltre a garantire correzioni automatiche con scadenze determinate quando non sia in grado di raggiungere altrimenti gli obiettivi di bilancio concordati.
Ciascun Paese si impegna inoltre a coordinare i piani di emissione del debito col Consiglio dell’Unione e con la Commissione Ue. Sono previsti almeno due vertici l’anno tra i leader dei Paesi che adottano l’euro.
Alla base del Fiscal Compact e delle posizioni della Commissione europea vi è l’idea che i deficit fiscali abbiano un effetto negativo sulle potenzialità di crescita del sistema economico.
Diverso è il punto di vista keynesiano: in economie che normalmente funzionano al di sotto dei loro livelli di piena occupazione, la spesa pubblica avrà un effetto espansivo sul reddito sia direttamente che per effetto dell’aumento degli investimenti privati. Il tetto vincolante di spesa comporterebbe inoltre, secondo molti economisti, la necessità, in caso di spese di emergenza, di tagliare altri capitoli del bilancio mettendo in pericolo il finanziamento dei programmi non di emergenza, in primis lo stato sociale.
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